PALAZZO DI GIUSTIZIA 3° GIORNO

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Il nobile non ha nemmeno varcato la soglia e già la sua voce tuona nell'ambiente: «C'è qualcuno che ti vuole molto male, ragazzina.»

La presenza di Lord Von Hagen riempie completamente la cella. Anche se non imponente, la sua figura autorevole e dignitosa ha sempre rappresentato quanto di meglio ci sia nell'Impero: un uomo integerrimo, fedele e onorevole e allo stesso tempo uno zio e un padre affettuoso e rassicurante.

Madie non fa in tempo ad aprire la bocca che lo zio di sua madre ha ricominciato a spiegare:

«Conosco il giudice: non ha intenzione di farsi manipolare in questo modo. Qualcuno ti odia veramente, l'hanno capito tutti. L'accusa è effettivamente sproporzionata e il magistrato non vuole, fra qualche anno, quando i giochi di potere saranno cambiati, perdere la faccia. Ma non può nemmeno lasciare correre: dovevi entrare nell'elite imperiale e tu stessa hai violato la legge che ti stavano insegnando a difendere. Dobbiamo offrirgli qualcosa che sia significativo: sarai accusata del furto; ti dichiarerai colpevole e ti affiderai con fiducia alla giustizia imperiale.»

Il viso della ragazza s'infiamma: questo va contro tutto quello in cui ha sempre creduto. Una tempesta di emozioni la assale. Teme il disonore forse più della morte. Vorrebbe urlare la sua innocenza, la crudeltà di questa accusa le strazia l'anima come mille punte acuminate.

«Non sono una ladra! Non lo farò» risponde alzando la testa, orgogliosa.

L'irruenza si trasforma in un istante in disperazione: «Non sono una ladra!» ripete, ora con voce rotta, lasciando trasparire le emozioni proprie della sua giovane età.

Lo schiaffo risuona come un tuono. «Bambina! Vuoi vivere?»

La chiama 'bambina' solo se è veramente arrabbiato.

«L'onore l'hai perso; la faccia l'hai già persa o pensi che obbedire abbia mai avuto un'alternativa? Preferisci ti ricordino come la traditrice? Se vivrai, potrai lottare, forse persino riscattarti o almeno vendicarti. Ma da morta?»

Le parole di lord Von Hagen perforano l'aria come uno stiletto.

Per un istante cala il silenzio. «Non so se ce la faccio» bisbiglia la ragazza, mordendosi le labbra.

L'uomo si avvia verso la porta, lentamente «Allora non posso fare niente» conclude con agghiacciante logica, senza girarsi, l'animo lacerato dal dispiacere per la sua adorata nipote.

Il silenzio dura l'infinità di due secondi. «Voglio vivere.»


PALAZZO DI GIUSTIZIA 22° GIORNO

Il processo è una vera farsa.

Il racconto della ragazza è frammentario e poco convincente, ma si è dichiarata colpevole e il resto non ha importanza: ha rivelato abbastanza da consentire al giudice di riconoscere il danneggiato e l'oggetto rubato. Non è mai citata la sua frequentazione dell'Academiae: è una criminale comune adesso.

Sconterà cinque anni in una struttura di detenzione mirata alla riabilitazione tramite il lavoro, su un pianeta gelato mai nemmeno sentito nominare. Non sta pagando per una sua debolezza: sta pagando la sua consapevole decisione di non obbedire, per la sua ribellione.

Ha poco più di sedici anni, ma adesso è certa: se prima aveva avuto esitazione nel fare punire una donna disperata, ora sa di non poter più accettare l'autorità di un Impero che chiede la sua testa per un gesto di pietà; avranno cinque anni della sua vita, ma non la sua sottomissione.

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