IL CAPITANO DOLFSON (573° giorno reclusione)

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Per quanto non si avvalga più della violenza fisica, Vera Reinhart non ha ancora concluso con Madalen.  È sicura di averla spezzata: la sua difficile convalescenza ne è un'ulteriore prova, ma adesso è venuto il momento che dimostri la sua completa obbedienza, senza remore, senza esitazione.

Le richieste cui la sottopone sono spesso onerose e umilianti per la ragazza, che comunque ottempera con prontezza, ma la donna sente, dalla sua lunga esperienza, che cela un'ostinazione assolutamente da moderare e teme possa fingere la sua soggezione, nonostante la veda ancora in condizioni fisiche e psicologiche di grande fragilità.

Una sera come tante, da quando è uscita dall'ospedale, Madalen scorge il cenno della Comandante che le ingiunge di inginocchiarsi: è esausta, ma è quasi un riflesso condizionato, ed esegue prima persino che sia sufficientemente vicina da sfiorarla.

Diversamente dalle occasioni precedenti, in cui si è accontentata di questo, le ordina di non muoversi e si allontana.

Il capitano Dolfson, che ha assistito per caso alla scena, mezz'ora dopo, costata che la ragazza è ancora nella medesima situazione e comprende di dover inderogabilmente conferire con Vera Reinhart: è il responsabile medico e si preoccupa, oltre della salute delle detenute, del benessere fisico e psicologico del personale militare e della Comandante e, ogni tanto, ciò implica dirle cose che non gradisce sentirsi ricordare.

«Comandante posso parlarle onestamente?»

«Capitano... quando comincia così, so già che sta per affermare qualcosa che non mi piacerà. Certo che può parlare, sta adempiendo il suo dovere. Ho piena fiducia nel suo giudizio.»

«Non può lasciarla là, ora le obbedisce, non può punirla.»

«Non posso? Questa ragazza ci creerà ancora dei problemi. Va mantenuta accondiscendente.»

«Comandante ci rifletta, per favore, ora esegue gli ordini senza pensarci un secondo. Se qualcosa farà di male sarà sua responsabilità intervenire, ma ora non lo faccia perché paventa che in un prossimo futuro potrebbe accadere. Non si lasci condizionare dal suo pregiudizio. Non si accorge di com'è ora? Quando le ho confermato che era stabile e poteva tornare con le compagne, intendevo che non stesse più considerando la morte come alternativa. Sta lottando per vivere, ma non è riuscita a ritrovare completamente se stessa, si vergogna tremendamente di quello che ha commesso, mentre prima ne andava quasi fiera: mai e poi mai considererà di ribellarsi di nuovo in queste condizioni.

In più, se le detenute cominciassero a pensare che le punisce senza motivo, invaliderà tutto il lavoro messo in atto fino a ora. Le recluse la temono, Comandante, temono la sua collera, sanno che è molto severa ed esigente, ma hanno imparato che non vengono sanzionate perché lei una mattina è di cattivo umore. Se iniziassero a crederlo, le più forti si ribellerebbero e anche le meno determinate riterrebbero di aver subito un'ingiustizia, non di stare pagando per i loro errori. Questo, lo so, lei non lo desidera.»

«Suppongo che lei abbia ragione, dottore. Ho perso obiettività. Aspetterò di vedere come si comporterà in futuro. Ma valuta che uscirà da questo stato di debolezza?»

«Sì, ne uscirà. Migliora lentamente, ma ogni giorno. E' prevedibile che quando qualcosa contrasterà eccessivamente con quello che reputa corretto, proverà ad alzare di nuovo la testa, ma credo che nella maggioranza dei casi si atterrà a ciò che le sarà richiesto. La premi ora: non racconterà quello che sta subendo, come non ha raccontato dell'isolamento, poi lo dimenticherà.»

Il campo è silenzioso, la notte senza stelle. Un vento frizzante e profumato di neve percorre il cortile con un suono musicale. La ragazza castana è ancora inginocchiata sulla pavimentazione liscia, ha solamente spostato il peso dalla gamba dolorante, ancora in via di guarigione. Il cappuccio della divisa invernale le oscura completamente il viso ovale dalla pelle perlacea: il suo colorito sano è svanito nell'anno e mezzo su Plane Glacia e la lunga febbre ne ha accentuato il pallore. Vera Reinhart pensa che abbia chiuso gli occhi, entrando in uno stato di leggera meditazione per rimanere immobile. E' incredibile vederla così: la sua forza, la sua determinazione, completamente svanita, ma ciò nonostante, una certa eleganza ancora traspira dalla sua postura. La fiamma è ancora accesa, anche se adesso è sommersa dal terrore che le ha risvegliato.

Monika Dolfson ha ragione, ora obbedisce ciecamente e non c'è alcuna falsità nel suo comportamento.

Con un cenno garbato le fa sollevare il viso: nello sguardo mite di Madalen è evidente la confusione: non ha motivo di pensare di dover essere ancora punita. E ha ragione.

«D'accordo ragazza, ti sei comportata davvero bene. Da domani, fino a nuovo ordine, lavorerai nelle cucine, al caldo e magari fra un po' non ti si conteranno più le costole» le annuncia mentre le concede di rialzarsi.

La ragazza si solleva, nel suo sguardo lo smarrimento ha fatto posto allo stupore: le cucine sono veramente un premio, solo per le detenute di salute cagionevole e con una condotta irreprensibile.

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