LA PRIMA BATTAGLIA (15° giorno reclusione)

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Sono passati quindici giorni e non ha ancora incontrato la Comandante. Madalen comincia a preoccuparsi.

Vera Reinhart compare nella fortezza di frequente, ma nei pochi giorni dal suo arrivo non l'ha vista che un paio di volte di sfuggita. È invece costantemente presente nell'atteggiamento delle detenute e dei soldati. Le recluse ne parlano poco e sottovoce, come una presenza sovrannaturale in grado di carpire loro qualunque pensiero e di punirle per mancanze anche solo immaginate. Sono poche le ragazze che sembrano non averne un sacro timore.

I soldati, beh... Nelle riflessioni in solitudine, Madalen ricordava quando l'aveva vista per la prima volta.

Il giorno del suo arrivo alla prigione, mentre la accompagnavano al blocco cui era assegnata, aveva assistito per caso all'ingresso di un piccolo gruppo di nuove secondine. Erano quattro giovani, fresche di scuola militare. La Comandante aveva posto loro un paio di domande secche, che non aveva udito, e aveva osservato le loro reazioni.

Mentre stavano impettite di fronte alla sua figura imponente e maestosa – anche le secondine più alte devono alzare la testa per guardarla – i loro sguardi trasmettevano il timore di essere respinte. Quando la Comandante con un cenno del capo aveva lasciato comprendere loro la sua approvazione, i loro occhi avevano brillato di soddisfazione e orgoglio.

La gioia che aveva notato nei loro visi contrasta con l'espressione concentrata che invece si legge sui volti delle soldate che incontra tutti i giorni, come se essere al suo comando costituisca una prova continua. È evidente, comunque, che rimangono senza alcuna costrizione e lottano ogni giorno per essere all'altezza delle sue pretese severe.

Quella mattina la sergente responsabile delle guardie del suo blocco le comunica la notizia che la vuole vedere subito, prima del suo turno di lavoro. Viene condotta rapidamente in un'area tranquilla della fortezza, lontana dal passaggio delle detenute verso l'opificio, le mani bloccate da leggere manette.

Prima ancora che Madalen possa anche solo alzare lo sguardo sulla donna, in quel momento nella sua divisa immacolata sembra ancora più alta del solito, ne sente la voce sarcastica.

«Buongiorno detenuta 41724972 Petersen Madalen. Hai un'interessante storia da raccontare, vero?»

Edith è stata molto esplicita: Vera Reinhart non tollera sentire parlare le detenute, se non specificatamente interpellate; ogni domanda è solo retorica; ha già la sua versione degli avvenimenti ben chiara in mente.

«Comandante» risponde solo la ragazza, abbassando la testa, aspettando che la donna continui.

«Vediamo.» Finge di leggere il rapporto. «Ultimo anno Academiae di Varha, e ti fai cacciare così, come una debole ragazzina, incapace di assumersi le sue responsabilità. Sei una vergogna per i tuoi genitori, per i tuoi insegnanti, per il sistema stesso. Una vergogna. Forse avresti dovuto lasciarti giustiziare, sarebbe stata una fine più dignitosa, ma probabilmente una dignità non l'hai: hanno perso solo tempo con te.»

La ragazza reprime a fatica i singhiozzi che le stanno salendo prepotentemente in gola: il ricordo dei suoi genitori è troppo doloroso. Le parole 'vergogna', 'dignità' sono uno stiletto, acuminato e incandescente, che le trapassa il cuore, lacerandolo. È avvolta di nuovo dal desiderio di morte che l'aveva devastata nel Palazzo di Giustizia, desiderio dal quale solo l'amore non esternato, ma non per questo meno vero e importante, dello zio l'aveva salvata.

«Ecco, ci mancherebbe solo che ti metta a piangere. Avresti dovuto aver imparato prima degli otto anni, che piangere, non solo non serve, ma accrescerà la tua punizione.»

Questo è vero, se lo ricorda bene. Jurgen Petersen con la sua ferma educazione, le aveva consentito di imparare che cercare di impietosire chi si occupava della sua formazione quando era messa di fronte alle sue colpe, dimostrava solo codardia e non il pentimento necessario per migliorarsi. Il Collegio poi, non tollerava in nessun modo debolezze di quel genere nelle sue allieve e le correggeva con draconiana inflessibilità.

«Me l'hanno insegnato, Signora» si difende, con ritrovata sicurezza.

«Non ho chiesto il tuo parere, Petersen. Rispondi unicamente se interrogata. Sei qui per furto e come una ladra sarai trattata. Apprenderai un lavoro onesto, non importa con quanta fatica o dolore. Imparerai a rispettare l'autorità, la mia innanzi tutto, e quella delle mie subalterne, che parlano solo in mio nome, con le buone o, se sarà necessario, con le cattive. Non uscirai da qui senza aver dimostrato di saper lavorare duramente e di obbedire alle leggi dell'Impero. Questo te lo prometto, ragazzina. E, se abbiamo fortuna, alla fine non dovremo più vergognarci di te. Hai qualcosa da dire?»

«No Signora: so di aver sbagliato. Ma non sono una ladra.» Madalen non riesce ad abituarsi all'idea di essere considerata una criminale, una che cerca solo la via meno faticosa per soddisfare i suoi desideri.

L'espressione di stizzita riprovazione della donna le fa capire di aver commesso un grave errore, benché Edith l'avesse avvisata. Un brivido le attraversa la spina dorsale: se le voci sono vere, la Comandante le farà passare le pene dell'Inferno.

«Mi stai contraddicendo Petersen?» Il tono, minacciosamente sceso di un'ottava, penetra fino alle ossa. «Se non sei una ladra, devo pensare che sei qualcosa di peggio e, in più, che sei stupida, perché non hai capito che ti stavo offrendo una possibilità di tornare sui tuoi passi, e mostrare un minimo di pentimento. Non credere che non abbia riconosciuto cosa sei. Non credere che te la farò passare liscia. Se non ti hanno insegnato la disciplina fino a ora, lo farò io adesso: sarà molto doloroso e ti toglierà quell'aria risoluta, ragazzina. Stanne certa». Si rivolge alle militari: «Portatela via. L'ho avuta davanti anche troppo.»


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