DALL'ALTO: DECISIONE (424° giorno di reclusione)

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Vera Reinhart dopo averla fatta frustare, esasperata dal suo comportamento, aveva notato che Madalen aveva smesso con l'atteggiamento irrispettoso. Non era di sicuro diventata un esempio; era ancora palese il disprezzo provato nei suoi confronti, ma non lo esternava così chiaramente come in precedenza e, soprattutto, non mancava più di rispetto ai soldati. Ma la ribellione e il rifiuto dell'autorità erano sempre lì, poco sotto la superficie: tutte lo potevano vedere.

Aveva ricevuto numerosi avvisi, sanzioni e qualche percossa, ma ciò sospendeva il suo atteggiamento insofferente e le sue intemperanze solo per breve tempo.

Inoltre, la ragazza non aveva veramente paura di lei. Era intimorita; sapeva che era pericolosa, ma non provava il terrore che la donna desiderava. Questo rendeva possibile che trovasse sempre il coraggio di rialzare la testa dopo le punizioni, di qualunque natura fossero.

In seguito all'incidente all'impianto, la Comandante aveva cominciato a rendersi conto che, nonostante i difetti, aveva davvero, come aveva cercato di sottolineare al loro primo incontro, una base solida di valori, come onore, coraggio e persino onestà. Non detestava i soldati: odiava solo lei; e, malgrado la sergente da lei salvata le avesse mostrato spesso rigore, alla prova dei fatti aveva deciso di rischiare la vita, pur di non lasciarla lì a morire. Era doveroso tenerne conto: se fosse riuscita a convincerla a obbedire, poteva diventare un buon elemento.

Aveva allentato la tensione, nella speranza che quello di buono notato in lei - dimostrato in numerose circostanze quando proteggeva le più fragili dalle detenute più pericolose - le facesse dimenticare quella sciocca e inutile ribellione, manifestata anche con continue, sebbene spesso non gravissime, mancanze di disciplina.

Ma quel giorno, mentre la riprendeva per una piccola infrazione commessa proprio in sua presenza, aveva alzato le spalle con condiscendenza e non aveva mai abbassato lo sguardo; mostrando così il suo completo disinteresse.

Vera Reinhart si era infuriata immediatamente: la ragazza era un affronto continuo a quello in cui credeva e, in più, ripagava con evidente disprezzo il suo tentativo, già fatto controvoglia, di riportarla all'ordine senza doverla distruggere.

Pertanto aveva disposto, e solo perché, in un modo o nell'altro, spesso Johana Michaels riusciva a ridimensionare la sua collera, che fosse fustigata nuovamente; con più durezza della prima volta. Così aveva assistito, con soddisfazione, al rapido cambio di espressione della reclusa, appena si era accorta di non riuscire appieno a reprimere i gemiti che i colpi le strappavano. E aveva anche notato che, finalmente, vedendola infuriata, cominciava a provare la paura desiderava avesse.

«Comandante, perché non abbiamo continuato con la Petersen come stiamo facendo con la Johnson? Forse adesso si comporterebbe meglio» chiede il maggiore, riferendosi a una nuova detenuta, che sta subendo la privazione del sonno per il suo atteggiamento insolente, ed è in procinto di cedere.

«Il suo comportamento, all'epoca, era una ripicca infantile: ha smesso subito, se ricorda. Devo ammettere che avevo sperato, ma per la sua ribellione ci vuole altro. Ormai ne sono certa: dobbiamo spezzarla, prima che si trasformi in qualcosa di ancora più pericoloso. Dalle solite punizioni in tempi più o meno lunghi si riprende, spesso ancora più forte e ostinata nella disobbedienza. Ha veramente il coraggio esternato appena arrivata, ma ne fa pessimo uso. Ho intenzione di porre fine a questa storia, una volta per tutte. Ho aspettato anche troppo.»

Il maggiore tace: è un metodo estremo, non esente da rischi, ma sa essere loro dovere primario non rilasciare una detenuta così smaccatamente indisciplinata. In più oltre alla ribellione fine a se stessa, avevano notato, in un paio di occasioni, atteggiamenti che contestavano la loro autorità, messi in atto con la convinzione di poter porre termine a qualcosa che la ragazza riteneva ingiusto. La maggioranza delle situazioni riguardava più le sue compagne che lei medesima. In quei casi non era insolente, ma mostrava di non essere propensa a obbedire senza discutere, a dispetto dei rischi. Era questo che impensieriva veramente la Comandante: se la sua risolutezza si fosse ulteriormente rafforzata, controllarla poteva diventare impossibile.

«Ci sarebbero molti modi per privarla della sua volontà.»

«Non ho intenzione di farla diventare un'idiota. Sarebbe un fallimento, più dell'ucciderla. La voglio domare. Voglio vederla terrorizzata solo all'idea di fare qualcosa che non mi piaccia.»

«Non dubito che ci riuscirà, signora. Ma non è escluso che poi non rimarrà come un automa, senza volontà propria.»

«Correremo il rischio, maggiore. Ma è forte. Dopo che l'avremo spezzata, sarà creta nelle nostre mani, ne faremo una cittadina irreprensibile. Dobbiamo solo aspettare che commetta un'infrazione abbastanza sciagurata da legittimarmi di renderla un esempio. Poi la sottometterò, e le altre, quando la vedranno spezzata, smetteranno di considerarla un modello da seguire, come alcune stanno iniziando a fare ora. Lasciamola andare per un po' e riprenderà di nuovo coraggio: poi non dovremo attendere molto perché disobbedisca apertamente.»

Il maggiore annuisce, ma conosce bene Vera Reinhart per sapere che, nell'evenienza dovesse succedere, si farà, con tutta probabilità, guidare dalla sua collera - a fronte della disobbedienza - più che da un freddo ragionamento. Ma prevede, che, in questo particolare caso, faranno tutte meglio più che mai, a non cercare di fermarla qualunque decisione prenda.


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