ANCORA ISOLAMENTO (965° giorno reclusione)

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«Petersen, Tu torni in isolamento.»

La ragazza sussulta. Una marea di ricordi la travolge, ma qualunque cosa dovesse dire o fare ora sarà fonte di altri guai.

Non oppone resistenza mentre la scortano verso le celle interrate: è rassegnata, spaventata, tuttavia può e deve mantenere la dignità. Conosce la sua avversaria sa perfettamente che, per quanto ciò che proprio la fa infuriare sia l'indisciplina, non sopporta le codarde. Nel suo peculiare modo, rispetta le detenute che accettano di buon grado le conseguenze delle loro azioni.

Trascorrono alcune ore: Madalen è sicuramente appisolata quando sente la porta aprirsi. Ogni sensazione è drammaticamente familiare: l'oppressione del buio profondo, il freddo così intenso da essere doloroso, l'odore di un ambiente con ventilazione artificiale, il silenzio mortale. Ma soprattutto, è familiare il senso d'ineluttabilità, d'impotenza che impregna le pareti insonorizzate, che cancellano luce, calore, vita. Sono emozioni che scuotono come terremoti la volontà delle internate, consumandola fino a che la loro ribellione o la loro aggressività siano spazzate via.

Si alza, si sposta nel mezzo della stanza e aspetta: ha una paura tremenda, ma fa buon viso a cattivo gioco. Chiedere clemenza ora è peggio che inutile, se avesse chinato il capo subito, forse, sarebbe stata graziata. Ma per l'ennesima volta ha provato a tenerle testa; l'ha persino contraddetta davanti alle detenute: per cui la punizione è inevitabile.

La Reinhart entra nella cella, impugna anche in quest'occasione il maglio. I movimenti mostrano che non è guidata dalla sua letale collera.

Quando le si avvicina, nota che la ragazza non accenna a difendersi. Sta li, composta nel centro della stanza con un'espressione stranamente mite, ma non cela la sua fierezza ora priva della consueta arroganza.

La colpisce varie volte, sistematicamente, professionalmente. Il corpo della ragazza sussulta a ogni tocco, ma l'ambiente rimane silenzioso.

Il dolore per Madalen è meno atroce, forse dipende dal non essere già ferita, comunque, dopo qualche minuto, i muscoli si arrendono e si accascia in preda a spasmi lancinanti.

Vera Reinhart, silenziosa com'è entrata, si allontana verso l'uscita, lasciando la sua vittima inerme sul pavimento nudo.

Madalen lotta contro il suo corpo dolorante, perforato da mille aghi: non può alzarsi in piedi, ma deve fare qualcosa per muoversi. Ignorando la nausea e le vertigini, riesce a sollevarsi carponi e a comandare alla sua gola di pronunciare le parole che ha in mente da ore.

«Signora?». La parola è nitida nell'aria.

La Comandante si ferma, rigida, per poi voltarsi con snervante lentezza. La luce tenue accarezza il viso accigliato.

«Le chiedo scusa, Comandante. Non avrei dovuto contraddirla. Mi rincresce.»

Pur rimanendo impassibile, Vera Reinhart dentro di sé sorride. Madalen non sta mentendo, ormai la conosce abbastanza da capirlo, poi è una pessima bugiarda. Conosce le regole, ha accettato sinceramente di rispettarle e sa di averle violate. Il suo coraggio e il suo orgoglio non le permettono di cercare di evitare la punizione, anche se lo avrebbe desiderato, addirittura per dimostrarle di aver compreso lo sbaglio, non le ha resistito, l'ha lasciata infierire senza muoversi, senza lottare.

Sarebbe stata un buon soldato.

La mattina dopo quando viene svegliata, Madalen ha dormito forse un'ora o due, i muscoli protestano e la sete è devastante.

Prima ancora che riesca a vederla, ne sente la voce : «Petersen alzati e torna al lavoro. Sei nel quinto turno, cominci fra un'ora. E vatti a sistemare, così sei impresentabile» conclude osservando i vestiti rovinati, poi mentre esce dalla cella, senza darle il tempo di pensare o rispondere aggiunge:

«Prova un'altra volta ad alzare la testa in questo modo e quello che ti farò, farà sembrare quello che hai subito qui, più di un anno fa, un viaggio di piacere.»

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