CONVALESCENZA (519° - 540° giorno di reclusione)

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Il risveglio è un sogno: non ha più freddo e, soprattutto, non sente dolore. Per un attimo è sgomenta e il suo sguardo lo deve manifestare, perché una voce confortante vestita di bianco le sussurra: «Va tutto bene. Sei ancora sotto l'effetto dell'anestetico. Non cercare di muoverti. Abbiamo fermato l'emorragia e anche il ginocchio, col tempo, guarirà.»

Madalen scivola velocemente nel sonno naturale.

La stanza è oscura e fredda. Un odore acre satura l'ambiente, un odore che ha il sapore della paura e della sofferenza. La flebile luce che filtra dalla porta non basta a rischiarare la cella e a distinguere il giorno dalla notte. Ma non è necessaria la vista per percepire la sagoma minacciosa che incombe su di lei, foriera di atroci tormenti. Grida, ormai senza fiato. Grida fino a che qualcuno la scuote, svegliandola.

Anche nei giorni successivi il sonno è invaso dai ricordi della cella d'isolamento trasformati in orrendi incubi, alternati a pochi e artificiali momenti senza sogni. Attraverso la barriera onirica giungono alla sua mente, incapace di comprendere, voci distanti che riportano di continua febbre, ma anche voci rassicuranti che cercano di calmarla. Ma una in particolare penetra nella sua coscienza, angustiata, preoccupata: «Non sta lottando. Se continua così la perdiamo: l'infezione e l'emorragia non erano tanto gravi. Bisogna avvisare immediatamente la Comandante Reinhart.»

Una mano delicata le sta sistemando i capelli quando apre gli occhi finalmente di nuovo lucida. Un volto familiare e amichevole le sorride gentilmente: Edith. L'espressione furba della donna è addolcita da un cenno premuroso. Il suo sguardo strappa un piccolo sorriso a Madalen, palesemente ancora turbata.

«Madie, cara. Cosa mi combini? Stai calma, ti hanno dato dei farmaci per aiutarti, non ti lasceranno abbandonare all'autodistruzione. Quindi tirati su, e ricomincia a vivere. Hai perso una battaglia, lo vedo bene. Non so cosa ti abbiano fatto esattamente, nessuno lo sa, tranne la Reinhart e il capitano Dolfson. Ma c'è modo di vivere anche così, tu ora non lo immagini, ma è mio compito indicartelo.» La aiuta a mettersi seduta e poi continua:

«Fin da quando ci siamo conosciute, ti avevo avvisato: per una come te la Comandante sarebbe stata una temibile avversaria, dovevi stare molto attenta a quello che facevi. Ma tu sei andata avanti per la tua strada, incurante dei numerosi avvisi dei mesi passati: hai pensato di poter stare qui, avendo commesso un atto di disubbidienza alle leggi imperiali, e di non dover imparare a obbedire senza esitazione. Sei stata presuntuosa, Madie. E adesso, ti ha dato una lezione che non dimenticherai facilmente.»

«Ma, Edith, tu da che parte stai?» mormora la ragazza, ferita e confusa. Anche la sua amica le fa la predica? Non era lei che aveva vissuto sempre come voleva?

Le mani curate della donna sfiorano il viso triste di Madie con atteggiamento materno. La ragazza è fragile ora. Non è criticandola aspramente che la aiuterà, ma nemmeno consentendole di negare la verità.

«Dalla parte della realtà. Devi accettarlo, come l'ho accettato io. Non si può sempre vincere. Però non devi lasciare che la sconfitta ti distrugga. Devi ricominciare dall'inizio, sarà difficile per te scendere a compromessi, ma sei forte e giovane: devi farlo per te stessa, devi cercare qualcos'altro per cui valga la pena di vivere che non sia lottare contro la Comandante e quello che rappresenta.»

Poi le sue emozioni hanno la meglio e alza la voce: «Ma cosa ti è passato per la testa? Litigavate come due gatte, tu e Franziska, quando vi hanno ordinato di smetterla...e voi siete andate avanti. Già lì, vi eravate ficcate in un bel guaio. Non paghe, avete completamente ignorato il primo ordine diretto della Comandante: pensavate di farla franca? Quando vi ha intimato di fermarvi la seconda volta, la Reinhart era talmente infuriata che persino le militari erano spaventate. A quel punto, forse, se foste cadute in ginocchio, non dico che ve la sareste cavata, ma magari la punizione sarebbe stata meno dura, specialmente la tua. Così, l'hai costretta a umiliarti.»

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