ASSASSINA - (1.547°1548°- giorno reclusione)

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Susan, del blocco E, rientra di corsa nell'impianto dopo che ne è appena uscita, alla fine del suo turno. È in evidente stato di sconvolgimento mentale.

«Ci uccidono tutte! Ci uccidono tutte!» sta blaterando senza interruzione.

Katherine inizia ad alzarsi dalla sua postazione per avvicinarla e calmarla, quando un imperioso cenno negativo del sergente che presidia la sua area della fabbrica la blocca.

«Non muoverti» le intima. Katherine nota che il soldato ha già portato la mano alla pistola. Si risiede e aspetta che loro portino fuori Susan, ancora agitata, dall'edificio.

Madalen, di passaggio da un'area all'altra, si accorge del nervosismo, ma non prova nemmeno a uscire: è di nuovo in un turno disciplinare, oltre che dolorante, e le militari la stanno sorvegliando strettamente. Sente rumore e agitazione venire dal cortile, ma è ancora la caposquadra, se c'è qualcosa che deve sapere, glielo diranno.

Quando finalmente esce, nota l'insolito movimento nel cortile, una presenza di soldati, pesantemente armati, che non ha mai visto prima e una tensione tangibile. Un'altra ragazza ai turni lunghi le indica di alzare lo sguardo: i tiratori sono almeno triplicati. Comincia a essere preoccupata, specialmente quando realizza che gran parte dei militari in più sono uomini.

«Che cosa sta succedendo sergente?» chiede a una delle secondine, ma come risposta è bruscamente immobilizzata e scortata al suo blocco, dove le sue compagne sono già raggruppate. Si guardano di sottecchi, le mani incapaci di stare ferme. Alcune si stanno tenendo per mano in cerca di conferma.

«Che cosa succede? Siamo in guerra con qualcuno?» chiede a Barbra, il suo secondo a tutti gli effetto ormai. Anche il maggiore sembra averlo riconosciuto.

«C'è un soldato ferito, Madalen. Molto gravemente» le risponde con voce piatta la compagna.

Madalen ha un mancamento: sono morte.

«Ma com'è potuto accadere?» sussurra.

«Un errore, sfortuna. Non lo sanno. Una di noi è quasi riuscita ad ammazzare una guardia. La Comandante ha chiesto aiuto alla guarnigione dello spazioporto. Questi sono veterani, non ci penseranno due volte a spararci, a tutte se fosse necessario. Non lasceranno vivere un'assassina di soldati.»

Pochi minuti dopo alcuni dei nuovi sorveglianti la riconoscono come caposquadra e la trascinano, senza darle spiegazioni né consentirle di collaborare, fino a un'area del cortile dove sono già raccolte le altre ragazze con la fascia rossa. C'è anche Tania Wolf ad aspettarle.

Ed è lei che si rivolge alle recluse.

«Lo spiego a voi perché in questo momento non è opportuno radunarvi. Sono sicura che riporterete con esattezza le mie parole. Come avrete capito siamo in uno stato di emergenza. Tutte le regole che conoscete di questo campo sono state sospese a favore del precedente regolamento carcerario. Il ruolo di caposquadra è revocato. I turni di lavoro primo e secondo sono cancellati, sia nell'impianto sia nei lavori leggeri. L'accesso alle aree comuni non è più libero ed è consentito solo sotto scorta. Verranno rimessi a tutte i normali strumenti di contenzione, manette e catene, sia di giorno sia di notte. Non desideravo farlo, ma c'è un'assassina e fino a che non la troveremo non ho altra scelta. Vi chiedo, per la sicurezza di tutte» - indica con un cenno i militari armati - «come vostro ultimo compito di caposquadra di facilitare questo passaggio. Gli uomini qui sono ai miei ordini, rispondete a loro come a me, non ammetterò né indisciplina da parte vostra né soprusi dalla loro. Aiutateci a trovare chi ha perpetrato questo e finirà presto.»

«Maggiore?» cerca di intervenire Letitia, timidamente, prima di essere zittita con violenza da uno dei soldati.

«Sergente, parlare per il momento non è ancora reato qui. Erano le mie caposquadra, sanno ciò che possono fare. Lasci a me decidere se può parlare o no.»

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