Capitolo 24

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24.


Il principio secondo cui, chi è innamorato, è felice e spensierato, deve essere venuto in mente a qualcuno con un senso dell'umorismo davvero perverso.

Essere innamorati ti fa star male, soprattutto quando l'oggetto del tuo amore non ricambia o, peggio, crede che tu sia pazza.

Parlarne con Erika, di fronte a una tazza gigante di gelato, mi aveva aiutato, ma solo in parte.

Sentivo la mancanza del conforto materno, anche se stentavo ad ammetterlo.

Mi mancavano le battutine di spirito di Mary B, che già mi aveva aiutato a superare la crisi sopraggiunta dopo l'aver lasciato Leon, l'anno precedente.

Ripensarci, mi fece sorridere.

All'epoca, avevo pensato che i sentimenti che avevo provato per Leon, fossero forti e permanenti.

Di fronte al dolore provato dal rifiuto di Duncan, dovetti ricredermi alla svelta.

C'era dolore, e DOLORE.

Ma non potevo sfogarmi al telefono con Mary B, mettendola al corrente delle mie pene amorose.

Lei non sapeva nulla di Duncan, e di come questo mio sentimento fosse nato e si fosse sviluppato.

L'avrei messa inutilmente in agitazione.

Mi rimaneva una sola scelta. Sperai solo di trovare ciò che cercavo, perché ne avevo un bisogno quasi fisico.

Preso il coraggio a due mani, e afferrato il cellulare che tenevo nella tasca dei pantaloni, digitai il numero di telefono di Sarah e, dopo aver atteso con impazienza di udire la sua voce, esordii dicendo: "Ciao, Sarah... sono Brie... ti disturbo?"

"Non mi disturbi, mai... in cosa posso esserti utile?" rispose all'altro capo lei, con voce pimpante.

La madre di Erika era spumeggiante come una fresca giornata di primavera, e stentavo a ricordarmi chi fosse in realtà, all'interno del branco.

Il suo carattere così solare mal si abbinava a un sicario senza scrupoli.

Cercando di non pensarci, le esposi il mio problema.

"Beh, avrei bisogno di parlarti, se non sei troppo impegnata."

"Vieni a pranzo da me, oggi... chiacchiereremo un po', va bene?" mi propose, dandomi l'indirizzo dell'azienda in cui lavorava, nel centro di Matlock.

La ringraziai per la gentilezza e chiusi la comunicazione, lo sguardo di Gab puntato addosso a me, mentre la sua coda scodinzolava gioviale.

"E' inutile che mi guardi così, oggi non ti porto fuori. Hai bisogno di riposare, dopo la cavalcata di ieri" lo rabberciai bonariamente, carezzandogli il muso con un sorrisino.

Lui sbuffò e, nel ridere sommessamente di quel suo comportamento quasi umano, me lo strinsi al petto, sussurrando: "Sarebbe mille volte più semplice essere una giumenta e amarti, sai?"

Nitrì come per darmi ragione e io, scostandomi da lui per un'ultima carezza, me ne tornai in casa per rassettare la cucina e la mia stanza.

Lanciai uno sguardo addolorato in direzione della clinica, attraverso le finestre dello studio, dove Duncan si stava occupando dei suoi pazienti animali e dei loro padroni.

Quella mattina avevamo parlato pochissimo, esprimendoci praticamente a monosillabi.

Solo la telefonata disperata di una sua cliente, ci aveva salvato da una colazione condita di silenzi imbarazzati e gesti inespressivi.

Occhi di Lupo - Trilogia Werewolves Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora