Uno

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Oggi

Ed è lì, in quella stanza, vuota e sola; in cerca di cosa?
Non lo sa neanche lei.
Forse la vana speranza di trovare qualcuno che le somigli, che la capisca?
Nessuno può capirla, nessuno può aiutarla a superare le sue paure e i suoi ostacoli.
Ed ecco che si trova lì, sola, di nuovo.
O forse lo è sempre stata, forse non ha mai avuto nessuno di davvero importante nella sua vita da potersi definire amicizia.
O amore.
La sua storia non è altro che frutto di sconnessi eventi che si sono concatenati tra di loro, senza un nesso logico, senza apparente significato.
E lei lo sa, ne è pienamente consapevole, ha capito che la sua non è vita, ma esistenza.
E l'esistenza non ha sapore, non ha consistenza, è solo il rivestimento di qualcosa di più grande, qualcosa che lei non può avere, non potrebbe mai avere.
Un tonfo la fa respirare di nuovo e si guarda attorno, in cerca della fonte di quel rumore maldestro e intruso.
Il suo cuore prende a batterle all'impazzata mentre cerca di calmare il respiro che le si sta spezzando in gola; nessuno dovrebbe trovarsi in questo luogo sperduto, nemmeno lei.
Si muove, allontanandosi dalla finestra, percorrendo la strada inversa fino ad arrivare all'enorme porta da cui era entrata ed esce nel corridoio, scrutando la situazione nell'oscurità. Sente le pupille dilatarsi per cercare di captare il minimo segno di una qualunque presenza, ma è tutto quieto e silenzioso.
Pensa che sia stata la sua immaginazione o qualche animale, così si volta per tornare all'interno della stanza, ma un nuovo suono sommesso le fa riaccelerare il battito cardiaco.
- C'è nessuno?
Quella voce profonda la immobilizza per portarsi poi le mani sulla bocca, come per ammutolire perfino i suoi respiri.
Si chiede cosa potrebbe farci qualcuno in quella casa, a quest'ora, proprio adesso.
Vari scricchiolii si odono rimbombare nel vasto salone, fino a dove si trova lei, al piano superiore.
Sa che avrebbe dovuto compiere ciò per cui è lì senza esitazione, senza pensarci.
Proprio per quello si è ritrovata lì, per non pensare più.
I passi si fanno più vicini, entrandole nelle orecchie che sente esplodere, come tutto di sé.
- C'è nessuno? - ripete la voce, in tono basso e caldo, provocando un brivido nella ragazza, ancora con le mani sulle labbra.
Il corpo non risponde alle sue richieste e, invece di muoversi velocemente verso un nascondiglio sicuro, rimane lì, ferma.
Perché in realtà desidera essere vista, desidera ardentemente essere salvata dal suo dolore.
I passi si fanno ancora più vicini, finché non scorge una figura imponente che avanza verso di lei. Dal taglio corto e dai lineamenti del corpo, si può benissimo intravedere che è un ragazzo.
Ma chi?

Tre mesi prima

- Bianca, stasera cosa farai?
La voce magnetica della sua compagna di banco fece sollevare il capo alla diretta interessata, per guardare la sua interlocutrice.
- Starò a casa, perché?
Osservò il sorriso della ragazza allargarsi a dismisura mentre nei suoi occhi verdi si stava accendendo uno strano luccichio.
- Vuoi venire a casa mia? Farò una festa con qualche amico! - espresse tutta la sua gioia, iniziando a strattonare il braccio dell'altra che continuava a guardarla impassibile.
- Non credo di potere - rispose semplicemente, acquietando la gioia dell'altra.
- Dai Bianca, cosa ti costa?
La ragazza si accigliò, cercando di convincere quell'ammasso di capelli scuri che contornavano un viso levigato dall'adolescenza.
- Giada, non insistere, è meglio se sto a casa, davvero.
Detto ciò, si alzò raccogliendo in fretta le sue cose per uscire dall'aula a godersi quel meritato intervallo e, ovviamente, per sottrarsi alle stupide suppliche della compagna.
Non avrebbe mai osato risponderle male, i pensieri cattivi se li teneva per sé, cercando di essere più socievole possibile, ma su una cosa non transigeva: uscire la sera.
Certo, era allettante potersi divertire come qualunque altro adolescente, avere degli amici con cui confidarsi e fare sciocchezze, bere in allegria, uscire con i ragazzi ed essere una normale ragazza di diciotto anni; ma lei non era normale, non lo era mai stata e quando le chiedevano cosa non andasse in lei, rispondeva che forse erano loro ad avere dei problemi, non ponendosi certe domande che, invece, spesso occupavano la sua mente.
Si chiedeva cosa significasse vivere, quale fosse lo scopo di ogni creatura sulla Terra, se ogni evento avesse la sua motivazione e le piaceva pensare che tutto fosse regolato da una forza superiore: il destino.
Il suo flusso di pensieri fu interrotto dallo stridere della campanella, indicando la fine di quel breve intervallo.
Si inoltrò per il corridoio, tornando verso la sua aula e sperando vivamente che Giada non insistesse oltre. Nel percorrere quel breve tragitto, però, i suoi occhi furono catturati da due presenze che ancora stavano fumando indisturbate fuori dall'atrio.
Si concesse qualche secondo per scrutare quei due individui, tanto simili quanto diversi, tanto legati, quanto inevitabilmente lontani.
Jason e Derek.
Due ragazzi italianissimi, ma con genitori di origini inglesi, che avevano voluto regalare ai figli un po' della loro amata patria utilizzando nomi stranieri.
Erano fratelli, all'anagrafe, ma se non ci fosse stato un documento ufficiale a stabilirlo non si sarebbe mai capito.
Il primo era caratterizzato da una folta chioma scura, accorciata ai lati per lasciar spiccare il ciuffo ribelle, con un paio di occhi densi e spaventosi, labbra piene, il tutto sistemato su un corpo magro, ma ben piazzato; dei tatuaggi si intravedevano sporgere dalle maniche delle lunghe felpe nere che portava e l'aria da duro affascinava molto le ragazze, ma al contempo le teneva lontane.
L'altro era esattamente l'opposto.
Capelli biondi che gli ricadevano in fronte e occhi talmente chiari da poter essere scambiati per due diamanti, labbra sottili che nascondevano denti bianchissimi e un corpo più muscoloso rispetto al fratello.
Erano due poli opposti che inevitabilmente si attraevano, erano facce della stessa medaglia. Una medaglia sporca di oscuri segreti di cui nessuno doveva essere a conoscenza.


Oggi

La figura continua ad avvicinarsi a passi lenti e moderati; nella ragazza il panico cresce sempre di più, finché l'essere non arriva proprio di fronte a lei.
È completamente buio e riesce solo a notare quanto sia più alto di lei.
Rimangono uno di fronte all'altra per qualche secondo, poi lui mette la mano destra in tasca e ne estrae qualcosa, lo apre per prendere quella che sembra una sigaretta e se la porta alle labbra per poi estrarre qualcos'altro dall'altra tasca.
Una fioca luce si accende dando ad entrambi la possibilità di guardarsi e di capire l'identità di chi hanno di fronte.
- Che ci fai qua? - chiede lui, accendendosi la sigaretta per poi buttare fuori il fumo e riporre l'accendino nella tasca.
La ragazza non riesce a credere che sia proprio lui, colui che tanto ha temuto e desiderato.
L'oggetto dei suoi sogni che si erano trasformati in incubi dopo la confidenza fattale.
- Non sono affari tuoi - replica lei, indietreggiando di qualche passo.
Lui la blocca prendendola per un polso e lei sbarra gli occhi, sentendosi in trappola.
- Ero preoccupato - ammette, facendo altri tiri e senza allentare la presa.
Ma a lei non importa nulla se era preoccupato, ormai non le importa più di nessuno, neanche di se stessa.
- Vattene - sputa acida, cercando di divincolarsi dalla sua presa, ma lui è nettamente più forte, non ha alcun problema a trattenerla emettendo una sonora risata.
- Avanti, vuoi negare che non sei felice di vedermi?
Ride, finendo la sigaretta per poi lasciare la presa, strattonandola. Gli piace sentirsi superiore, nonostante tutti i segreti che nasconde, nonostante non sia per niente la persona che dimostra, ama sentirsi forte e ama ancora di più far sentire gli altri delle nullità.
Lei si sentiva esattamente così con lui, una stupida ragazzina che aveva ceduto all'unico sentimento che odiava, a cui si era ripromessa di non cedere mai, ma l'aveva fatto e come volevasi dimostrare aveva solo sofferto, portandosi dentro tutto il male dei suoi diciotto anni.
- No, affatto, stavo molto meglio prima.
Si allontana dal ragazzo, andando di nuovo verso la stanza in cui stava riflettendo poco prima. Non si sente seguita e tira un sospiro di sollievo, anche se ormai l'ha scoperta, ha visto qual è il posto in cui si rifugia per allontanarsi da tutto; magari non il più consueto, ma la fa sentire al sicuro, in quella sconfinata solitudine si sente padrona della sua vita e di questa casa.
- Lo sai che non puoi scappare per sempre
La sua voce risulta di nuovo più vicina e lei si morde il labbro, cercando di bloccare il vortice che le sale in gola; tutto quel dolore che preme per essere espulso dal suo corpo, ma non vuole, non è ancora il momento.
- Vattene - riesce a dire, appoggiando le mani ai lati della finestra che ha di fronte.
Il paesaggio è arido e spoglio, da lontano si può benissimo intravedere la gente che si diverte per festeggiare un'insulsa usanza.
- Non puoi davvero volermi fuori dalla tua vita, Bianca! - urla lui all'improvviso, avanzando di qualche passo.
Sa cosa le frulla nella mente, ormai ha imparato a conoscerla e, nonostante lo negasse, apprezzarla. Non le permetterebbe di distruggersi nel suo dolore che alla fine è stato causato anche da lui, non può permetterle di addossarsi quei segreti che gli appartengono, non è compito suo.
- Sì, non voglio più vederti, ti prego vattene...
Ha la voce incrinata, segno inevitabile della fine; la vede avanzare verso la finestra e, istintivamente, scatta verso di lei per fermarla.
Le circonda il corpo con le braccia per non farle fare nessun altro movimento.
Deve salvarla, aiutarla, odia l'idea di vederla affogare da sola; odia l'idea di vederla star male.
Odia se stesso, la causa del suo più grande dolore.
Odia se stesso perché non riesce ad amarla, ma di una cosa è certo: Bianca Stella lo ha cambiato.
È riuscita a cambiare il temibile Jason Owen.




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Salve lettori, eccomi qua con una nuova storia, un po' diversa dalle altre.
Spero che vi incuriosisca, fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio :*
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