Due

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Due mesi e mezzo prima

Non era mai stata una ragazza che si preoccupava del giudizio altrui, credeva che gli altri fossero delle semplici forme vane di sinapsi sconnesse, fossilizzate sugli inutili piaceri della vita, effimeri, come l'alcol o il sesso, cose a lei sconosciute.
Un ennesimo giorno di lezione era iniziato, per fortuna era l'ultimo anno che avrebbe passato assieme a quelle voci fastidiose e stridule.
- Bianca, allora, come stai?
Giada era comparsa di fianco a lei e la guardava sorridente; Bianca pensò che non aveva mai visto nessuno più allegro di lei, con quella luce negli occhi che le donavano un'aria ancora più superficiale.
Nonostante le continue risposte sgarbate, quella piccola ragazzina non si arrendeva e continuava comunque ad importunarla chiedendole cose insulse come il suo stato d'animo o se volesse uscire, ma era certa che lo facesse solo per riuscire a farsela buona per poi sfruttarla per le sue doti scolastiche.
-Starei meglio se te ne andassi - rispose acida la mora, inarcando un sopracciglio per marcare la sua scocciatura.
- Non fare così, potresti anche essere più simpatica, dai
Giada espose il labbro inferiore in un'espressione supplichevole, che causò il voltastomaco alla sua interlocutrice. Questa infatti scosse la testa indignata per poi sorpassarla e andare verso la sua classe, dove purtroppo l'avrebbe rivista, ma almeno era sicura che non l'avrebbe più infastidita.


Al suono della campanella tutta la baraonda di adolescenti impazziti si diresse all'uscita.
Bianca odiava stare in mezzo a quella calca che non smetteva di spingere per arrivare all'esterno, quindi ogni giorno si concedeva un paio di minuti per ammirare l'anima deserta della scuola. C'era qualcosa che la affascinava in quell'atmosfera cupa e solitaria, nel silenzio più totale.
Scese le scale per recarsi anch'ella all'uscita, il contatto delle sue scarpe con gli scalini producevano un fruscìo appena udibile che si scagliava contro la calma del luogo.
- Domani me li dai, okay?
Una voce calda e profonda pronunciò quelle parole che attirarono l'attenzione della ragazza.
- Certo, quanto ti devo? - chiese un'altra voce maschile che si faceva più intensa man mano che Bianca percorreva le scale, avvicinandosi all'uscio.
- Quindici euro, mi raccomando, li voglio - disse duramente l'altro. La ragazza arrivò a toccare il pavimento alla fine delle scale e volse il viso verso la direzione da cui provenivano le voci; un ragazzino più piccolo di lei si affrettò a correre verso la porta per poi uscire sorpassando la ragazza che era rimasta a fissare l'altro ragazzo.
Era lui, riconoscibile ovunque.
Uno dei fratelli Owen.
Jason Owen.
- Cazzo guardi? - sputò acido, avvicinandosi a lei con passo sostenuto. Lei, colta alla sprovvista, sussultò per il tono e scosse la testa, indietreggiando. - Vattene ragazzina del cazzo, vai a prendere il tuo stupido pullman e non rompermi i coglioni.
In pochi secondi fu di fronte a lei e la afferrò per un braccio, strattonandola, ma una voce alle sue spalle lo riscosse in fretta.
- Jason, lasciala stare.
Il ragazzo preso in causa staccò la presa voltandosi verso colui che lo aveva chiamato, finendo per essere visibile anche dalla ragazza che rimaneva impassibile senza muoversi di un millimetro.
- Che cazzo vuoi, Derek? - alzò la voce, tornando a guardare Bianca. - Questa cogliona mi stava fissando.
Scrutò il volto della giovane, notando delle sfumature verdi nei suoi occhi scuri.
- Non ti stavo fissando - replicò lei, accigliandosi e riuscendo a fare qualche passo per allontanarsi finalmente da lui.
- Jas, sei sempre il solito, perchè devi trattare tutti così?
Derek si era avvicinato a loro rivolgendo un dolce sorriso alla ragazza che continuava a fissare suo fratello con un'espressione truce.
- Perché mi fanno incazzare! -urlò, allontanandosi nervosamente per poi passarsi le mani nei capelli, frustrato.
-Mi scusi signor principino.
La mania di rispondere male era sempre stata parte di lei, ma non era consapevole che non con tutti si può parlare liberamemte, soprattutto non con uno come Jason Owen, che difatti le rivolse uno sguardo carico d'odio.
- Dovresti andare.
Il tono di suo fratello Derek risultava quasi preoccupato e lei non se lo fece ripetere due volte; aveva compreso bene l'odio rivoltole e si sentì sottomessa, cosa che con gli altri non le succedeva mai.
Uscì velocemente fuori da scuola, ma non prima di aver udito il fragoroso suono di un pugno che si infrangeva contro il muro.



Quell'incontro ravvicinato con Jason Owen le aveva lasciato dentro una sensazione strana, quasi disagio.
Di solito teneva la gente a distanza, rimanendo immersa nei suoi pensieri, senza badare a cosa pensavano di lei o a cosa le dicevano per schernirla della sua scontrosità, eppure sentirsi urlare contro in quel modo aveva causato nel suo cervello un turbinio di pensieri dediti a maledire quell'essere.
Nei giorni seguenti si tenne a debita distanza da ogni contatto umano, portandosi appresso un libro che stava finendo di leggere, iniziato poco più di un mese prima.
Non era un'amante della lettura, cosa strana per chi vuole estraniarsi dal mondo, eppure lei credeva che nella realtà ci fosse già tutto, le bastava osservare i comportamenti degli altri, scrutarli e, talvolta, deridere la loro superficialità; si portava dietro quel libro semplicemente per trasmettere un segnale più chiaro del fatto che volesse essere lasciata in pace da tutti, soprattutto dalla sua compagna Giada, che puntualmente si presentava al suo cospetto con indosso un sorriso più falso delle sue borse.
- Bianca, allora, cosa leggi di bello? - le chiese la ragazza, sedendosi sulle gradinate che davano sul cortile, accanto a lei.
Bianca nascose il libro per evitare di farle leggere il titolo, non che le importasse qualcosa, ma il solo condividere ogni piccola parte di sé con il resto del mondo, come il titolo di un libro che leggeva, la faceva sentire violata.
- Niente che sia di tuo gradimento - rispose, volgendo lo sguardo verso alcuni ragazzi che fumavano indisturbati poco più in là.
- Senti, per caso hai fatto i compiti di inglese? Sai ieri sono uscita con Andrea e non ho avuto il tempo di farli.
La lasciò terminare la frase, sapendo già dove volesse andare a parare e si girò verso di lei, lentamente, come se non avesse nessuna fretta di mandarla a quel paese.
- Sì, li ho fatti.
Le rivolse un sorriso beffardo per poi alzarsi, raccogliendo le sue cose e dirigersi verso il cancello; passò di fianco a un gruppetto di ragazzi che ridacchiava allegramente mentre un odore a dir poco rivoltante aleggiava nell'aria: una canna.
Bianca storse il naso in una smorfia di disgusto, ma uno dei tanti se ne accorse e, volendosi mettere in mostra, si spostò dal gruppetto per andare proprio a pararsi di fronte a lei, bloccandole il passaggio.
Lei alzò lo sguardo su di lui, sorpresa di quella interruzione; uno strano silenzio si impadronì della situazione: molti occhi erano puntati su quella scena e lei iniziava a sentirsi molto a disagio. Odiava stare al centro dell'attenzione, preferiva rimanere invisibile nel suo piccolo mondo.
- Cos'hai da fare quella faccia? Ti fa schifo per caso qualcuno dei miei amici? O addirittura me? - la aggredì lui, visibilmente sballato; aveva gli occhi arrossati e molleggiava il corpo come se non avesse spina dorsale.
- Anche - rispose la ragazza, cercando di non mostrarsi debole. Voleva solo essere lasciata in pace, ma di sicuro non si sarebbe mostrata timida e indifesa ai loro occhi.
- Oh, ma sentitela, alla malata facciamo schifo.
Il ragazzo rise goffamente, attirando ancora più sguardi su di loro; si era sentita chiamare malata talmente tante volte che oramai non ci faceva nemmeno più caso, se loro volevano definirla così solo per il fatto di non essere una persona superficiale e in cerca di stupidi divertimenti adolescenziali, lo avrebbe di certo preso come un complimento.
Pronunciato poi da uno che si era appena sballato con una canna solo per distrarsi dai suoi inutili problemi, era certamente un complimento.
Bianca scosse la testa, più che altro per ripetersi che erano solo delle persone inutili, sorpassando quel ragazzo che ancora rideva e quando questo si accorse di non averla più davanti, si affrettò a fermarla per un braccio, facendola voltare verso di sé con forza.
- Sentimi bene piccola stronzetta, puoi anche startene tutto il giorno per i cazzi tuoi, ma non venire a romperci i coglioni, intesi?
Aveva gli occhi di un azzurro talmente chiaro da gelarle il sangue, eppure non capiva cosa avesse fatto di male, non aveva comunicato molto con lui, non l'aveva insultato o canzonato, era semplicemente rimasta in silenzio; ma forse era proprio quello il punto, ciò per cui si sentiva attaccato.
Quell'indifferenza lo aveva lasciato spiazzato, molto più di qualsiasi risposta acida o sgarbata, l'indifferenza era un'arma ancora più potente, un'arma che Bianca sapeva usare benissimo.
- Andiamo Davide, smettila.
Una nuova voce maschile si manifestò prima che Bianca potesse replicare qualunque cosa. Il ragazzo lasciò in fretta la presa della ragazza per poi sbuffare e tornare, borbottando, verso il suo gruppetto di amici.
Bianca spostò quindi l'attenzione su colui che era intervenuto nella discussione e riconobbe i caratteristici tratti familiari.
- Tutto bene? - chiese lui, avvicinandosi alla ragazza che rimase interdetta da quell'improvviso soccorso.
Derek Owen si stava mostrando gentile e soprattutto tutto l'opposto di suo fratello.

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