Quindici

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Bianca varcò la soglia di casa, trascinandosi fino alla sua stanza, per poi buttarsi sul letto, stanca e arrabbiata.
Aveva ceduto di nuovo.
Era stato più forte di lei, ma non capiva, non riusciva a venire a capo di quel maledetto enigma.
Continuava a chiedersi il perché di tutti quegli avvenimenti che le avevano sconvolto il suo piccolo mondo.
Jason e Derek erano nella sua scuola da cinque anni, ma non li aveva mai degnati di uno sguardo, un pensiero, nulla; per lei erano semplici persone che facevano parte del suo ambiente, ma da cui stare lontano.
Cos'era cambiato nella sua testa? Perché Jason la faceva stare così? Perché continuava a pensare a lui, nonostante quello che le aveva detto?
Ma la vera domanda era: dopo che praticamente tutti le avevano dato della malata o dell'asociale, perché sentirselo dire da Jason Owen le faceva sentire un nodo in gola e un peso opprimente sul petto?
Odiava sentirsi così indifesa, vulnerabile, odiava che le lacrime facessero capolino sui suoi occhi in quel modo, fuori dal suo controllo.
Odiava non avere sotto controllo la sua vita.
Voleva che Jason stesse lontano da lei, ma era lei, in realtà, che inevitabilmente gli andava vicino.
Volente o meno, si trovavano sempre insieme.
E lei credeva nel destino, eccome se ci credeva. Non era un caso che tutto fosse precipitato e continuasse a precipitare e dato che al destino non si può sfuggire, doveva rassegnarsi e guardare in faccia alla realtà: Jason avrebbe fatto parte della sua vita.
Si alzò dal letto e andò in bagno per sciacquarsi la faccia, provando a togliersi quella sensazione di umido dalle guance.
Quando puntò lo sguardo sul suo riflesso allo specchio, provò un moto di disgusto.
Non si piaceva.
Sentì le parole del moro rimbombarle nella mente.
No, non si piaceva.


- Non la vedi più, vero? - chiese il biondo, guardando il fratello quasi con speranza. Questo spostò il viso nella sua direzione, scrutandolo, impassibile.
- Se non la vedi tu, neanche io la vedo Derek, che domande fai?
Jason sbuffò, continuando la rampa di scale per arrivare in classe.
- Era solo per sapere, tranquillo, so che a te non frega nulla di lei...
Detto ciò, il ragazzo prese la sua strada per entrare in classe, lasciando il moro da solo, con i pugni serrati lungo i fianchi e le sue parole nel cervello.
Certo, a lui non importava nulla di lei, non provava compassione per averla fatta piangere, non la pensava costantemente e non era minimamente preoccupato per lei.
Balle.
Entrò in classe lasciandosi la conversazione con il fratello alle spalle e concentrandosi su cose ben più importanti. Si sistemò al suo solito posto, in fondo nell'angolo accanto alla finestra e appoggiò la cartella sul banco, formando una barriera tra lui e il resto del mondo. In quelle due ore di italiano gli aspettava qualcosa di eccezionale: il suo pisolino mattutino.




Prestò attenzione a tutta la lezione di inglese, dato che qualche giorno dopo sarebbe stata interrogata. Novembre si avvicinava alla fine e tutti stavano già pensando alle vacanze natalizie; a Bianca non importava più di tanto, per lei era più o meno un giorno come un altro. Credeva solamente che durante quel periodo la gente si autoconvincesse che fosse tutto più bello, quasi magico, la verità era che non c'era nulla di speciale.
Il Natale era una festività resa commerciale, come tutte le altre.
Pasqua, Capodanno, Carnevale, San Valentino, perfino la festa della repubblica e della liberazione.
Qualcuno ne conosceva il reale significato? Probabilmente sì, ma era semplicemente un modo per starsene a casa dal lavoro o da scuola e quindi ogni cosa andava bene, purché si potesse fare ciò che più si prediligeva.
Almeno lei non faceva finta che le importasse qualcosa, solo per lo spirito natalizio o quello che era.
Lo spirito dovrebbe esserci sempre, altrimenti non serve a nulla.
Era tutta una facciata. La gente credeva di poter indossare una maschera durante uno stupido periodo di festa per sentirsi più amata o più cordiale o solo che il mondo non fosse costantemente circondato da falsità e male.
Errato.
Finite le festività, chissà come mai, tutto tornava sempre normale e quell'atmosfera scompariva dal viso di ognuno. Tralasciando il fatto che tutti si concentravano semplicemente sui regali da ricevere o donare (che tra l'altro spesso è quasi un peso).
La campanella la riscosse dal suo flusso incontrollato di pensieri e trasse un respiro profondo, uscendo dalla classe per dirigersi al bagno.
Spesso si chiedeva se la voce che percepiva nella sua mente fosse la stessa che le usciva dalle labbra.
Parlava talmente poco che quando accadeva, a volte, credeva di non essere neanche lei stessa a pronunciare quelle parole.
Si guardò allo specchio, osservando il verde che contornava la sua pupilla, le sue labbra carnose e il suo naso leggermente grosso.
Era bella? Sì, no, come poteva dirlo?
La domanda più appropriata era se si sentiva bella.
Scosse la testa, cacciando via tutti quei pensieri.
Bellezza? A lei non era mai importato di apparire bella o anche solo pensare a come si sentiva con se stessa, eppure una piccola parte di lei ci aveva fatto caso.
Non voleva certo diventare superficiale e stupida come le sue coetanee (e non solo); però non doveva per forza negarsi quelle idee, non l'avrebbero per forza portata alla completa distruzione della sua intelligenza.
Tornò in classe, osservando il corridoio vuoto che le si presentava dinanzi, finché una presenza la portò ad accelerare il passo.
Derek stava uscendo dalla classe con dei fogli in mano e non sembrava per niente contento.
Bianca provò ad arrivare alla propria classe il più in fretta possibile, ma, inevitabilmente incrociò il suo sguardo, proprio prima di raggiungere la porta; l'azzurro cristallino dei suoi occhi era diventato completamente opaco e un brivido le percorse la schiena: non era una sensazione piacevole.




La giornata finì e il cielo si rannuvolò di colpo, come se avesse cambiato umore improvvisamente, come se potesse percepire le emozioni di Bianca e Jason.
Era strano, ma entrambi sentivano una sensazione sgradevole addosso.
Il sonnellino di lui era stato disturbato dalle lamentele della professoressa che lo aveva spedito dalla preside, mentre per quanto riguardava Bianca, la visione degli occhi di Derek le aveva lasciato dentro un inspiegabile vuoto.
Non riusciva a spiegarselo, ma sentiva come un peso, all'altezza del cuore, che glielo schiacciava.
Perché i suoi occhi erano così diversi?
Non avrebbe dovuto importargliene, d'altronde era lei quella che non voleva più avere a che fare con loro; eppure non era tranquilla.
Scese le scale con calma, aspettando sempre che la calca si dileguasse; il rumore della pioggia che batteva sulle pareti le lasciava un minimo di calma, le ricordava molto l'infrangersi delle onde calme contro la spiaggia.
Quel paesaggio, nella sua mente, poteva essere associato anche al paradiso. Difficilmente si sarebbe stancata di un suono così soave che le accarezzava le orecchie.
Però lei era portata per l'inferno, un soffocante caldo inferno, che le bruciava dentro, che la scalfiva a poco a poco, fino a consumarla del tutto, lasciandola lì, inerme, abbandonata a se stessa.
Si ritrovò ancora una volta di fronte alla porta che l'avrebbe portata all'esterno della scuola, nei sotteranei.
Spinse la maniglia, ma non si aprì nulla. Confusa, riprovò una seconda volta, ma nulla.
- È chiusa.
Bianca si irrigidì, udendo una voce alle sue spalle. Come se non lo avesse capito.
- L'ho capito - rispose calma, abbassando le mani lungo i fianchi.
Dei passi leggeri si udirono alle sue spalle e poi, di nuovo la sua voce.
- Se vuoi posso aprirla
Era un sussurro, talmente vicino al suo orecchio da causarle un brivido, una di quelle scosse che si estendono in tutto il corpo e ti entrano nell'anima.
- Se è chiusa c'è un motivo.
Il suo tono pacato stava stupendo anche lei.
- Non per me.
Una mano si poggiò sul suo fianco.
Trasalì di colpo, spostandosi da quel punto.
Non era abituata ad essere toccata, soprattutto da una mano maschile, soprattutto da un suo coetaneo. Volse il viso nella sua direzione, pronta ad azzannarlo se fosse stato necessario, ma lo vide solo intento ad aprire quella porta.
- Stai infrangendo le regole - gli disse, continuando, però, ad osservarlo.
-Questo è il mio posto, non lascerò che una stupida serratura me lo porti via.
La porta si aprì e il sorriso di Jason si espanse sul suo volto. Bianca rimase a fissarlo per qualche secondo, vedendolo varcare la soglia, mentre il rumore della pioggia si faceva più intenso. - Allora, vieni o no?

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