- Andiamo in infermeria - affermò lui, iniziando a muoversi verso l'interno, ma lei scosse la testa, rimanendo ferma nello stesso punto. - Senti, non stai bene e non vorrei che mi vomitassi addosso da un momento all'altro e poi non so neanche se sarei in grado di portarti in braccio, dato che non sono dotato di bicipiti... E poi non credo tu sia così leggera - disse l'ultima frase in un sussurro, come se dovesse essere solo un pensiero; ma lei l'aveva sentito fin troppo bene.
L'estrema vicinanza dei loro corpi sembrava essere l'ultimo pensiero di entrambi, ma a Bianca, scattò come un campanello d'allarme, quando si rese effettivamente conto si stare tra le braccia di qualcuno. Jason Owen, tra l'altro.
Avrebbe voluto ritrarsi in fretta e scappare, ma sentiva che non si reggeva neanche in piedi.
E poi non ti vomiterò addosso, pensò, stringendo la presa alla sua felpa. Il suo cervello elaborò, infine, anche l'ultimo suo commento.
Le stava indirettamente facendo capire che era grassa? Poco importava.
Era consapevole di non essere un peso piuma.
Se, però, voleva liberarsi di lui, doveva assecondarlo e seguirlo fino in infermeria.
Prese a camminare lentamente insieme a lui, che provava a tenerla in piedi come meglio poteva. Mentre raggiungevano la loro meta, però, qualcuno li stava osservando, stringendo i pugni con tutta la forza possibile.
Lo ammazzo, pensò, seguendo le due figure fino a vederle scomparire dietro la porta dell'infermeria.- Come ti senti? - chiese l'infermiera, osservando Bianca che stava bevendo un thé caldo e molto zuccherato. Gliel'aveva consigliato la stessa donna, dicendole che il suo stato era dovuto ad un calo di pressione.
- Sì, meglio, grazie - rispose, piatta e spenta.
Si sarebbe detto che fosse per colpa del suo stato, invece era proprio come avrebbe risposto a chiunque, in qualunque condizione.
- Posso andare ora?
Le due ragazze si voltarono verso la persona che aveva parlato e l'infermiera scosse la testa.
- No, stai qua, caro, tienila d'occhio mentre vado a prendere altro zucchero.
La donna uscì dalla stanza, lasciandoli soli, ma soprattuto senza dare il tempo a Bianca di ribattere con: "Non ce n'è bisogno".
Jason sbuffò sonoramente, andando a sedersi sul lettino di fronte a quello dove si trovava la ragazza.
- Puoi andare, non ho bisogno della balia - sputò acida, dando un ultimo sorso alla sua bevanda.
- Taci.
Quel tono non le piacque per niente, ma appena stava per ribattere, una nuova fitta di dolore si espanse nel suo cranio, portandola solo a sospirare.
Non le era mai successo, non almeno in modo talmente brusco.
Non riusciva neanche a ragionare, a formulare dei pensieri corretti, che le sue sinapsi scattavano in una scossa elettrica, invadendole il cervello.
- Maledizione - borbottò, appoggiando il bicchiere sul tavolino e massaggiandosi le tempie.
Jason alzò lo sguardo su di lei, osservando i suoi movimenti e i lineamenti tirati del suo viso.
- Ti fa tanto male? - chiese, alzandosi dalla sua postazione e andando di fronte alla ragazza che sedeva con le gambe penzoloni. Lei alzò lo sguardo quel che bastava per lanciargli un'occhiata di fuoco.
- Certo che mi fa male, idiota - replicò, continuando a massaggiarsi.
Jason strinse i pugni per evitare di dare in escandescenza: odiava essere trattato in quel modo, soprattutto quando lui aveva solo delle buone intenzioni.
Poi, perché avrebbe dovuto fare quello che aveva in mente?
Non se lo sarebbe sognato di farlo neanche al fratello, proprio con lei doveva pensarci? Quella odiosa ragazzina asociale che detestava il mondo?
Che rimanesse pure nel suo stato pietoso e per di più sola, tanto a lui non importava minimamente se provava un dolore atroce, se lo meritava.
- Sai che ti dico? Fanculo! Provo ad essere per lo meno gentile e mi tratti come una merda! Vuoi che nessuno ti dia fastidio? Benissimo, non vedevo l'ora di andarmene! - alzò la voce prendendo il suo zaino e avviandosi verso la porta.
Bianca strinse la presa alle sue tempie per il tono usato e una strana sensazione iniziò ad invaderle in corpo.
Avrebbe voluto ribattere, dirgli che nessuno gli aveva ordinato di essere gentile, urlargli contro che doveva andarsene anche lui a fanculo; ma l'unico suono che uscì dalle sue labbra fu la cosa più impensabile per entrambi.
- Scusa.
Jason si bloccò proprio sulla porta, udendo quella parola.
Scusa? Gli aveva chiesto davvero scusa?
Anche Bianca era paralizzata dalla sua stessa risposta.
Scusarsi era impensabile, d'altronde non aveva fatto nulla di sbagliato.
O forse sì?
Il suo cervello non stava ragionando più nel modo giusto, era come se a parlare fosse qualche altro organo.
Jason si voltò nella sua direzione, guardandola mentre ancora si massaggiava le tempie con fare isterico.
Sospirò e abbandonò di nuovo lo zaino sul pavimento, tornando verso di lei.
Aveva capito che per lei scusarsi era veramente un atto estremo, come il suo d'altronde. Anche lui si era scusato con lei per averle dato della malata, quando lo facevano tranquillamente tutti, quindi, in parte, la capiva.
Le tolse le mani dalla fronte e lei subito oppose resistenza.
Pensava che volesse farle del male e subito lo guardò con puro terrore negli occhi. Nessuno si era mai azzardato a toccarla per farle del male e non aveva nessuna intenzione di iniziare proprio quel giorno.
Lui ignorò il suo terrore e appoggiò le mani di lei sulle sue gambe, tolse la presa e poggiò le proprie mani sulla sua testa.
- Cosa... Cosa vuoi farmi? - chiese lei, rigida in corpo, ma con la voce tremante.
- Aiutarti - ripose, iniziando a massaggiarle le tempie con delicatezza.
Lei rimase immobile e rigida per i primi secondi, sotto quel contatto inaspettato e non del tutto desiderato, ma dopo qualche movimento, non poté evitare di abbandonarsi a quel tocco rilassante.
Jason aveva imparato a fare quei massaggi da sua madre che spesso li faceva a Derek a causa delle sue emicranie.
Strinse i denti, continuando a muovere le dita e sentendo la ragazza rilassarsi.
Sorrise compiaciuto, osservando il viso della ragazza; ogni traccia di tensione o nervosismo era stata soppiantata dal più completo abbandono a quel gesto.
- Ti senti meglio? - chiese lui dopo qualche minuto, staccando le mani da lei, che aprì gli occhi, avendoli chiusi a causa di quel massaggio così bello.
- Sì, grazie - rispose con voce diversa; più dolce, avrebbe detto Jason.
Rimasero a guardarsi per un po', finché l'infermiera non fece capolino sulla soglia, facendo puntare i loro sguardi su di sé.
- Ragazzi, non c'è più zucchero, mannaggia. Tesoro, vado a vedere se... - Bianca la interruppe.
- No, grazie, mi è passato, non c'è bisogno.
Lanciò uno sguardo a Jason che ricambiò, accennando un sorriso.
La ragazza si alzò recuperando il proprio zaino e salutando la donna che era rimasta basita di fronte a quella strana guarigione. Jason la seguì, fino alle scale che conducevano alle aule.
- Grazie ancora - disse lei d'un tratto, cogliendolo di sorpresa e facendogli sbattere le palpebre un paio di volte.
- Oh, non c'è... Problema.
Le sorrise, ma c'era qualcosa di strano nell'aria.
La ragazza salì le scale con il sorriso sulle labbra, mentre lui la osservava allontanarsi.
Nessuno dei due lo avrebbe mai detto, ma quel piccolo gesto sarebbe stato l'inizio di qualcosa che non si sarebbero mai aspettati.- Non eri tu quello che la stava evitando?
Derek inizio così la conversazione con il fratello, appena varcarono la soglia di casa.
Jason si girò verso di lui e aggrottò le sopracciglia, confuso.
- Eh?
- Sei un coglione.
Il biondo camminò a passo svelto verso la sua stanza, sbattendo la porta, mentre il moro era rimasto a fissarlo, impassibile.
- Che cazzo stai dicendo? - urlò in risposta, avvicinandosi alla porta della sua camera.
- Vattene! Sei solo una merda, un fratello e un amico del cazzo!
Un tonfo seguì le parole di Derek e Jason non poté fare a meno di sussultare, immaginando cosa stesse combinando.
- Non capisco davvero di cosa tu stia parlando.
Utilizzò un tono di voce più calmo e la porta si aprì di colpo, mostrando il volto truce di Derek. Un volto che non solo esprimeva odio e rancore, ma anche tristezza, pentimento; forse legato al fatto che sapeva ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.Si sdraiò sul letto, sospirando e osservando il soffitto della sua stanza. La sua mano destra andò a depositarsi tra i capelli, ricordando il gesto compiuto da Jason poche ore prima.
Si chiese cosa lo avesse spinto ad essere così gentile; si chiese come mai, nonostante l'avesse trattato male, le fece quel piccolo favore, facendola sentire meglio.
Uno strano sorriso le solcò le labbra, portandola, però, ad incurvare le sopracciglia.
Lei voleva capire qualcosa su di lui, voleva svelare il mistero che lo avvolgeva, eppure non stava ottenendo nulla di tutto ciò.
Allora perché sorrideva quasi soddisfatta?
Si alzò dal letto e aprì le ante esterne delle finestre, facendo penetrate il freddo pungente di dicembre che era alle porte. Rabbrividì per un secondo, osservando ciò che la natura aveva da offrirle.
Il nulla.
Solo case, palazzi, costruzioni dell'uomo.
Certo, qualche albero o giardino era visibile, ma con il freddo dell'autunno inoltrato, si era ridotto al nulla più totale: deserto, freddo.
Un po' come il suo cuore.
Spesso si era paragonata a quella visuale, così distaccata e cupa, eppure in quel momento vedere uno spettacolo del genere le metteva quasi tristezza.
Avrebbe preferito vedere i fiori sbocciare o i bambini correre per il giardino, ridendo.
Indietreggiò dalla finestra, tremando, quando finì di formulare quei pensieri.
No, non era da lei.
Lei odiava sentire le risate insistenti dei bambini, odiava tutte quelle carinerie.
Perché diavolo ci stava pensando allora?
Un brivido le percorse il corpo e chiuse le ante con uno scatto brutale.
Non poteva davvero rammollirsi in quel modo, non come tutte le altre persone insulse.
Tornò sul letto, ma non prima di aver acceso la musica e iniziato a cantare a squarciagola le parole.
Era iniziata una nuova battaglia, con se stessa.
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Dentro Me
Genel Kurgu[Completa] Dentro di lei era tutto chiaro, ogni emozione, ogni pensiero; aveva le sue idee e non le avrebbe modificate solo per adattarsi alla massa. La sua vita procedeva con cautela, anche se per tutti era quella diversa, non si curava di ciò che...