Dodici

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- Cosa vuoi? - le chiese acida, molto più acida rispetto a poco prima.
- Oh, nulla, solo che non dovresti trattare male Derek... È sempre stato carino nei tuoi confronti, dovresti dargli una chance.
Era semplicemente confusa.
- Si può sapere chi diavolo saresti tu?
Le parole le uscirono fluide e chiare, senza pensarci.
- Chi sono? Sono Alessia Elba, della quinta B.
Questa guardò Bianca con ovvietà.
- No, voglio sapere che legame hai con loro! Prima baci Jason e poi Derek? Che senso ha? Cosa sei tu per loro?
Ormai la lingua non aveva freni, alimentata dalla confusione e la rabbia.
- E a te cosa importa?
Il suo sguardo si fece serio, serrando la mascella.
- Nulla, volevo solo capire - ribatté sentendo il respiro irregolare.
- Beh, non sono affari tuoi.
- Ragazze, cosa succede?
Tombola, o forse era terzina. Aveva incontrato tutti e tre nella stessa giornata e aveva avuto anche il piacere di scambiarci due o tre parole, anche se in contesti poco simpatici.
- Nulla, Jay, abbiamo una futura investigatrice tra noi - commentò beffarda Alessia, attirando lo sguardo nel nuovo arrivato.
- Cioè?
- Vuole sapere che legame ho io con voi due. - spiegò, inarcando un sopracciglio mentre Bianca era rimasta senza parole.
- Andiamo.
Jason appoggiò una mano sulla schiena della ragazza e la spinse, facendole sorpassare Bianca.
Quando lui le passò accanto, però, disse qualcosa al suo orecchio che fece impietrire la ragazza: - Stanne fuori.
E se ne andarono.


Quelle parole le rimbombavano nella mente in continuazione.
Doveva starne fuori.
Doveva lasciar perdere tutto.
Ma cosa?
Come poteva lasciar perdere qualcosa se neanche si rendeva conto di quel che accadeva?
Voleva sapere.
Si stava interessando a qualcosa per davvero, non sapeva come, ma stava accadendo e voleva venire a conoscenza dei loro segreti.
Era certa che stessero nascondendo qualcosa e non si sarebbe fatta intimorire da un futile avvenimento da parte di Jason.



La seconda settimana di novembre era ormai al termine e il freddo stava diventando buona parte integrante del clima.
A Bianca piaceva il freddo, qualche volta.
Quando le entrava sotto pelle facendola rabbrividire, quando la faceva tremare, si sentiva come se qualcos'altro stesse prendendo possesso del suo corpo e avrebbe voluto lasciarsi trasportare da quella forza.


Entrò in classe come ogni mattina e la bidella venne subito a comunicare che mancavano dei professori a causa di uno sciopero.
Ovviamente, versi di apprezzamento erano alternati a lamentele.
I primi per la mancata presenza di una figura intellettuale che avrebbe trasmesso loro della conoscenza; le seconde perché, come al solito, la scuola non era in grado di avvisare prima questi tipi di imprevisti.
Conclusione: c'era chi decise di tornare a casa e chi di vagare per la scuola aspettando la fine delle lezioni.
Bianca rimase a scuola.
Anche se avesse voluto, non sarebbe potuta tornate a casa dato che il pullman c'era solo all'orario di uscita.
Rimase per la maggior parte in classe, al suo banco a riflettere.
Riflettere su cosa?
Jason.
Era un pensiero fisso, un tormento costante che non la lasciava in pace. Era convinta di averlo addirittura sognato.
- Si può?
Bianca si riscosse dai suoi pensieri, rivolgendo un'occhiata alla porta, dalla quale spuntava un corpo femminile.
- Chi sei? - chiese immediatamente, guardando la nuova arrivata.
- Sono Elisa.
La ragazza fece un passo avanti, entrando nella stanza e mostrando il suo corpo perfetto.
- Che ci fai nella mia classe?
Quella loquacità era strana perfino per la stessa Bianca, ma d'altronde era praticamente sola in classe, se non avesse parlato lei non lo avrebbe fatto nessuno.
- Volevo sapere se l'aula era libera perché ci serve per fare una lezione.
L'intrusa sorrise, spostandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
Bianca si chiese per quale assurdo motivo dovevano volere quella classe.
- D'accordo, non spetta me dirlo, ma va bene
Si alzò, raccogliendo il suo zaino e uscendo dalla stanza, iniziando a vagare per i corridoi.
Scese le scale fino ad arrivare all'ingresso, vuoto, e si diresse verso il piano inferiore, in cui ci stava un piccolo bar.
Vi entrò, notando l'affluenza dei suoi compagni rimasti a scuola, in aggiunta ad altri che vagavano senza sosta.
Ma lei non voleva la confusione.
Ammirare tutto da lontano le piaceva, ma starci all'interno era un'opzione da escludere completamente.
Continuò a camminare verso i sotterranei nei quali aveva trovato Alessia e Giada litigare.
Seguì il corridoio fino in fondo e vi trovò una porta.
La osservò per qualche secondo, indecisa sul da farsi, po appoggiò le mani sulla maniglia presente, constatando che non era chiusa. La spinse con decisione, uscendo verso quello che doveva essere il retro della scuola.
Varcata la soglia, un venticello leggero le si infltrò nelle ossa, facendola rabbrividire.
Il panorama non era nulla di speciale, semplicemente la zona esterna, dietro la scuola, avente un piccolo giardino e l'enorme struttura della scuola sopra di sé.
Avanzò di qualche passo, verso il piccolo giardino; lì avrebbe trovato la quiete desiderata. Si sedette su un piccolo rialzo in cemento, osservando la ringhiera che la divideva dal resto del mondo.
Lì, da sola, all'interno della scuola, si sentiva al sicuro, protetta, come se nessuno potesse mai abbatterla o scalfirla.
- Fumi?
Una voce riecheggiò alle sue spalle e subito lei si immobilizzò.
Rimase in silenzio, credendo che la domanda non fosse rivolta a lei. Ma a chi altri se non c'era nessuno?
Una figura alta la sorpassò, dirigendosi verso la ringhiera. Bianca vide la piccola fiamma di un accendino e subito dopo una nuvola di fumo si espanse nell'aria.
Non l'aveva visto in viso, ma la voce non tradiva la sua identità.
Rimase in silenzio, continuando a pensare per i fatti propri, ma inevitabilmente lo sguardo le cadeva sempre sul suo corpo, snello e slanciato.
- Fissare è da maleducati, sai?
Le guance di Bianca si colorarono in modo eccessivo, mentre un calore improvviso le irradiava il corpo.
- Non ti stavo fissando - si giustificò, guardando altrove.
- Oh, ma non dicevo a te, era una constatazione, ma sono lieto di averti messa a disagio.
La risata di Jason si espanse in tutto l'ambiente circostante, facendo surriscaldare ulteriormente la ragazza; ma stavolta era per rabbia. Quel ragazzo la affascinava, ma riusciva a mandarle il sangue al cervello. Lui si voltò nella sua direzione con un sorriso di scherno sul viso.
- Non sono a disagio! - alzò la voce per marcare la sua posizione.
- Ah no? Allora perché ti stai alterando come per nascondere che lo sia?
Quel ghigno non voleva abbandonare il suo viso. Lei si alzò, andando verso di lui con grandi falcate, presa da un moto di rabbia.
- Senti, lasciami stare ok? - gridò, facendo volare via degli uccelli che si erano appollaiati lì intorno.
Il viso di lui rimase impassibile nel suo segno di scherno e avanzò anch'egli, arrivandole ad un palmo di naso.
- Se no cosa mi fai?
La voce di lui, ridotta in un sussurro, gli occhi puntati in quelli di lei.
Ancora una volta poté ammirare le sue iridi dense, piene d'odio forse, di superiorità. Ma lei era ancora più superiore e non si sarebbe abbassata al livello di quei buzzurri.
- Niente... Però non dirmi di non immischiarmi e poi tormentarmi in questo modo - replicò, con tono più calmo e conciso.
- Io l'ho fatto per te... Non voglio ti faccia male...
Il suo tono divenne più debole, quasi sincero e lei si stupì di quella frase.
Cosa stava cercando di dirle?
Una strana sensazione la colpì allo stomaco, come se qualcosa glielo stesse attraversando, tartassandogli le pareti con delle morbide piume o flebili ali.
Si allontanò di scatto, spaventata da quella cosa nuova.
Sì, era spaventata, non aveva mai portato nulla di simile e non capiva cosa le stesse succedendo.
Jason rimaneva impassibile a guardarla, si aspettava una sua risposta, un segno che gli facesse capire qualcosa, ma neanche lui sapeva cosa.
Si chiedeva perché le avesse detto proprio quella frase.
Lui non teneva a nessuno, se non a suo fratello e Alessia.
Non poteva preoccuparsi per lei. Lei era solo una stupida ragazzina che si credeva forte, ma non lo era per niente.
La osservò correre verso l'entrata per poi sparire dietro la porta.
Rimasto solo si avvicinò di nuovo alla ringhiera, guardando il paesaggio all'estreno e immaginandosi come sarebbe stato essere liberi.
Perché lui non avrebbe mai potuto esserlo.

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