Diciannove

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Quando il corpo di Jason si allontanò da quello della ragazza, si resero davvero conto di ciò che era avvenuto.
Si guardarono negli occhi per i primi secondi, poi lei spostò lo sguardo, puntandolo sulle scarpe di lui.
- Scusa - iniziò lui, impacciato.
Era decisamente strano, per entrambi, soprattutto perché era stata una cosa di slancio, senza riflettere, senza analizzare la situazione.
- No... Non devi - rispose lei, ormai rossa in viso.
Nonostante il clima, loro sentivano un caldo soffocante.
Era come se la temperatura si fosse alzata improvvisamente e non sapevano spiegarsi il motivo.
Imbarazzo, forse?
- Sì, devo... - disse Jason dopo qualche secondo.
Lei alzò lo sguardo, provando ad incrociare il suo, ma anche lui stava fissando il suolo, leggermente rosso in viso. - Non avrei dovuto - continuò, allontanandosi fino a creare una certa distanza di sicurezza.
Bianca rimase immobile di fronte a quelle parole.
Sì, forse non avrebbe dovuto, ma ormai l'aveva fatto ed erano entrambi vivi; non era stato un grande male, o forse sì? Forse lui si era pentito? Forse non gli era piaciuto?
- Io... Io vado - dichiarò lei, dopo un silenzio infinito.
- Sì.
Jason tenne lo sguardo fisso sul pavimento.
Evidentemente gli aveva davvero fatto schifo, pensò la ragazza.
Che Bianca non fosse esperta di abbracci o altri tipi di effusioni, era ovvio, ma non credeva che potesse farla sentire così male.
Aprì la porta che la separava dall'interno dell'edificio e vi entrò, constatando che erano già passati cinque minuti dal suono della campanella. Si affrettò a salire le scale per poi entrare in classe con una furia tale che la porta produsse un suono secco, a contatto con la parete.
- Stella! Sei in ritardo! - la sgridò il professore, serio in viso. - Stavo dando un avviso importante! Forza, vai a sederti!
Gli alunni si misero a ghignare, osservando la ragazza che si muoveva verso il proprio posto.
- Sarà andata a drogarsi da qualche parte, povera sfigata - commentò qualcuno di cui Bianca conosceva benissimo la voce: Giada.
- No, non mi drogo, tranquilla, non voglio rubare il ruolo di tossicodipendente a qualcuno - rispose lei, sedendole di fianco.
- Cosa vorresti insinuare?!
Il suo timbro stridulo fece spuntare una smorfia di fastidio sul viso di Bianca.
- Niente, cosa dovrei insinuare? - rispose calma, rivolgendole un sorrisino tirato.
- Malata... - sussurrò l'altra, pensando di non essere sentita.
- Meglio malata che puttana... - replicò, senza reprimere un sorrisino spontaneo.
- Cosa?! - urlò Giada, alzandosi dalla sedia e attirando l'attenzione di tutta la classe.
- Mainini! Cos'è questo baccano? - la riprese il professore, scocciato dalle continue interruzioni.
- Mi ha dato della puttana!
Giada puntò il dito contro Bianca che sgranò gli occhi; delle risatine generali si elevarono nella stanza, ma sempre mantenendo un tono basso.
- Che?! Mainini, queste parole non voglio sentirle! Sono stato chiaro?
- Ma prof! Lei lo ha detto a me! - si difese, piagnucolando.
- Forza, dalla preside! - Guardò prima Giada e poi Bianca. - Entrambe!


Fortunatamente la preside non aveva nessuna voglia di ascoltare le lamentele di una ragazzina e congedò le due alunne quasi subito, raccomandando loro di non bisticciare perché "lo spirito di classe è importante". Parole sue.
La giornata continuò con occhiatine di puro odio che Giada lanciava alla sua compagna di banco, mentre questa se ne fregava altamente. Chissà perché Giada se la prendeva tanto; tutti avevano dato a Bianca della malata, eppure lei sapeva di non esserlo e non se la prendeva. Quindi, perché arrabbiarsi tanto per una falsità?
La campanella dell'ultima ora richiamò Bianca dai suoi pensieri; mise via tutto il suo materiale scolastico, quando l'immagine di quella mattina le tornò in mente. Il corpo di Jason che la stringeva, quello strano calore che le si diffuse nel corpo...
Cosa volevano dire?
- Se mi darai ancora della puttana, sappi che non finirà bene... Capito?!
Non si era neanche accorta che Giada era rimasta ancora in classe.
- Non dovresti prendertela se sai che non è la verità... Sai? Solo la verità fa male...
Bianca raccolse il suo zaino e si diresse verso l'uscita, osservando la struttura possente che la ospitava la maggior parte del tempo, quel luogo in cui aveva dovuto sopportare per anni la presenza di persone arroganti, vuote, e senza il minimo accenno di un sano valore. Magari neanche lei aveva dei sani valori, magari anche lei era vuota; ma nella sua solitudine, nel suo piccolo, sapeva di essere sempre e comunque se stessa, senza condizionamenti esterni.
Improvvisamente una forza la afferrò per i capelli; percepì un forte dolore alla cute e subito dopo un pizzicore si diffuse sulla sua guancia sinistra. Giada era in piedi, di fronte a lei, con la mano a mezz'aria e l'aria infuriata.
- Non osare mai più, brutta nullità! Non hai il diritto di dirmi nulla, soprattutto tu! Patetica, malata, asociale, depressa e chissà cos'altro!
L'eco della sua voce risuonò in tutto il piano in cui si trovavano.
Bianca continuò ad osservarla mentre un prurito fastidioso le si stava formando sulla mano destra.
Voleva colpirla, sì, decisamente.
Non tanto per le parole che le aveva rivolto, ma per l'affronto fattole. Aveva osato toccarla in modo così brusco e lei odiava qualsiasi contatto fisico.
- Vattene!
Entrambe guardarono in direzione della voce che aveva parlato. Alessia era a pochi metri da loro, con i pugni stretti lungo i fianchi e lo sguardo truce.
- Oh, è arrivata la paladina! - rimbeccò Giada con aria di sfida.
- Ti devo ricordare cosa è successo l'ultima volta?
Bianca rimase a fissare il ghigno soddisfatto sul viso di Alessia, ricordandosi anche lei del naso sanguinante di Giada.
- Non la passeresti liscia questa volta!
La paura era palpabile nella sua voce stridula.
- Oh, lo vedremo...
Alessia si avvicinò con fare minaccioso, fino a trovarsi a pochi passi dalle due ragazze; ma quando si sentì prendere per il polso, si bloccò.
- Non ne vale la pena - affermò Bianca, lasciando la presa.
Alessia rimase spesata per qualche secondo, sbattendo le palpebre; poi sospirò, passandosi le mani sul viso.
- Hai ragione... - dichiarò, mandando un'occhiata fugace alla mora di fianco a lei. Giada prese l'occasione, volatilizzandosi giù per le scale e lasciando le due ragazze lì, da sole.
- Ti ringrazierei, ma non c'era bisogno di intervenire - disse Bianca, fissando la ragazza.
- Non l'ho fatto assolutamente per te, la odio a prescindere, quindi ho colto l'occasione - rispose l'altra, con sufficienza.
- Potresti anche essere meno sicura di te, sai? Non finirà bene per sempre.
La ragazza esplose in una fragorosa risata.
- Credi che non lo sappia? Non me ne frega un cazzo delle ragazzine viziate come lei, io ho cose più importanti a cui pensare... Tu, invece, perché non fai meno la stronza acida?
- E uniformarmi con questa massa di merda?
Bianca inarcò un sopracciglio, mentre ad Alessia spuntava un sorriso.
- Non sei così malvagia, sai? Saresti perfetta come mia discepola, ti farei diventare una grande persona! - affermò, fiera di sé.
- Sono già grande di mio, grazie, non mi serve...
Bianca riprese a camminare, mentre un lieve dolore alla guancia le fece toccare quel punto.
- Ed eccola che torna la stronza! - Alessia rise, ma iniziò a seguirla. - Ti fa male? - chiese poi.
- Te ne importa qualcosa?-
- No, ma potrebbe...
Entrambe si bloccarono, incredule.
Alessia aveva davvero insinuato che poteva importarle di lei? Si guardarono per qualche secondo, studiandosi e poi ripresero ognuna la propria strada; almeno per il momento.




Dicembre era iniziato e con esso il freddo si era intensificato.
A Bianca non dispiaceva, soprattutto perché poteva immergersi meglio nei suoi abiti enormi.
Entrò a scuola al solito orario e si diresse verso la sua classe, ripensando a qualche giorno prima; l'immagine di Jason e Alessia le comparivano davanti agli occhi e non poteva fare a meno di chiedersi: "Cosa sta cambiando?"
Si sedette al suo posto, tirando fuori il materiale scolastico per iniziare una nuova lezione. L'interrogazione di inglese alla fine le era andata bene, meritandosi un otto; anche se ultimamente non riusciva a concentrarsi come prima sullo studio.
Il professore fece la sua entrata e così i suoi compagni, ridendo e scherzando tra di loro. A volte le passava per l'anticamera del cervello di voler essere come loro: spensierati, superficiali, simpatici (sotto un distorto punto di vista), scherzosi, stupidi anche.
Poi si ricordava che quello non l'avrebbe portata ad una vita ricca di sostanza e valori, ma l'avrebbe resa vuota, quindi scacciava quei pensieri maligni e si concentrava su altro.
Jason, ad esempio.

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