19. Demons

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Mi svegliò un dolore lancinante alla testa.

Tentai di aprire gli occhi, ma la luce che entrava dalla finestra sembrava intenzionata a martellarmi il cervello, così rinunciai tirando la coperta oltre le orecchie.

Nella penombra delle lenzuola, dopo pochi secondi spalancai gli occhi e mi chiesi «Dove mi trovo?», balzando in piedi.

Mi guardai intorno a fatica tenendo una mano fra i capelli per il mal di testa notando che ero di fianco ad un grande letto matrimoniale, posizionato su un soppalco che lasciava intravedere le varie stanze dell'appartamento. Non ricordavo nulla, né dove fossi, né perché mi trovassi lì.

Sospettando che ci fosse qualcuno, cercai di scendere le scale in silenzio, ma non ci volle molto a capire che in quel momento l'appartamento era vuoto. Vagai con lo sguardo cominciando ad odiare la sensazione d'estraneità, finché gli occhi si posarono sul divano e mi si accese la lampadina: ero a casa di Jayson.

Iniziai a barcollare sui piedi scalzi facendo una piccola smorfia, non avrei mai dovuto bere quel bicchiere di birra, sapevo che mi bastava poco per farmi ubriacare. Anche se, dovevo ammettere a me stessa che in fondo non ero del tutto sbronza, perché mi balenò nella mente il momento in cui Jayson mi afferrò il braccio per accompagnarmi a casa.

Improvvisamente iniziai a ricordare le sequenze della serata: di essere stata in auto con lui; di aver curiosato in casa sua; di essermi seduta sul divano... ma mi fermavo a quel punto, non andavo oltre.

C'era il vuoto più totale, per quanto mi sforzassi, c'erano solo pochi stralci che però non mi permettevano di ricostruire interamente tutta la nottata. Mi passai le dita fra i capelli sperando che non fosse successo nulla, quando mi accorsi che i miei panni erano ammucchiati sul tavolinetto di fronte la televisione.

Solo in quel momento notai che stavo indossando quello che pensavo fosse il pigiama di Jayson e mi chiesi preoccupata, «Cosa ho fatto?», stringendo forte il bordo della t-shirt morbida.

Decisi di sbrigarmi, così dopo essermi cambiata e aver messo cellulare lanciato sul divano nella borsa, uscii.

Prima di chiudere la porta mi accorsi di un quadratino giallo attaccato al muro:

Chiudi bene la porta.

Jayson

Lo lessi e feci un profondo respiro, dovevo assolutamente cancellare quella notte dalla mia mente, altrimenti sarei affogata nel dubbio. Misi il post-it in tasca e corsi fuori.

***

Appena tornata a casa, trovai mia madre in fondo alle scale, con lo sguardo preoccupato e le braccia incrociate.

Mi venne incontro quasi correndo, «Dove sei stata?»

Abbassai lo sguardo e le risposi «Ho dormito da un'amica», ma poi cercai di deviare il discorso, «Ora devo andarmi a cambiare, altrimenti arriverò tardi a lavoro».

Salii le scale mentre mia madre continuava a guardarmi, finché lei disse «Tuo padre è molto arrabbiato».

Mi fermai di scatto, «Non è un problema mio» dissi senza neanche voltarmi, «Quando comincerà a prendermi in considerazione, allora...»

«Non ricominciare Maya!» esclamò mia madre esasperata, mi raggiunse e mormorando «Vieni, devo dirti una cosa», mi trascinò nella sua camera.

La camera da letto dei miei genitori era molto più grande della mia, formata da un piccolo salottino e affiancata da un'altra stanzetta con un letto e un grande armadio. Il colore dominante era l'arancione, colore preferito di mia madre, ma non era un arancione acceso, bensì tenue, quasi rosa.

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