36. What I've Done

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Torrian parcheggiò l'auto vicino lo stabile e iniziò a colpire ripetutamente il volante finché si scorticò le nocche delle dita.

«Perché?!» gridò a se stesso, poggiando la testa sul clacson. Si slanciò all'indietro e sbatté al poggia testa del sedile, «Cosa diavolo mi è preso?! Sono un'idiota».

Non riusciva a capire la reazione di qualche ora prima, sembrava entrato in un mondo offuscato e confuso, dove l'unica cosa che riusciva a distinguere era la figura di Maya. Sentiva il bisogno di tenerla stretta, come un'ape che succhia tutto il nettare dal fiore finché non ne è sazia, ma lo sguardo terrorizzato di lei gli fece capire di essere stato avventato.

I sensi di colpa lo stavano divorando. Si chiedeva come avrebbe potuto incontrarla di nuovo sembrando disinvolto, ma la risposta era ovvia: Maya probabilmente ora lo detestava, non avrebbe mai più voluto vederlo.

Aveva sbagliato anche a comportarsi con Jayson in quel modo, dopotutto il fratello voleva solo che diventassero una vera famiglia, ma lui non era riuscito a controllarsi. Era raro che avesse un atteggiamento del genere, ma essere presente ai gesti d'amore che si scambiava con Maya, agli elogi che gli rivolgeva il padre e che lui non aveva mai ricevuto, gli fecero montare una rabbia assurda.

Anche se era tormentato dall'occasione che lo aveva spinto ad andarsene, la sua mente si spostò sulla conversazione che avevano fatto con il padre e pensò che fosse davvero strano. Non era da lui comportarsi in modo così gentile, non lo faceva neanche nei colloqui di lavoro, non lo aveva fatto le prime volte in cui conobbe Maya; ma ora lo stava facendo con Jayson, quindi c'era qualcosa sotto.

Cercò di ricordare i minimi particolari per trovare qualcosa che gli avrebbe dato un indizio, quando cadde su un piccolo dettaglio che lo illuminò. «Cosa voleva dire con recuperare le cose in sospeso?» si chiese spalancando gli occhi.

Il padre non intendeva recuperare i momenti persi, lo sapeva bene, sicuramente intendeva fare qualcos'altro. Si passò una mano fra i capelli, non sapeva cosa fare e poi aveva lasciato Maya e Jayson da soli.

Spalancò gli occhi dicendosi che era uno stupido, sicuramente sarebbe successo qualcosa, così afferrò il volante e corse con l'auto verso Daffodil's House.

Jayson teneva gli occhi chiusi sul morbido materasso di casa sua, sentendo la testa pesante come un masso di roccia. Faceva un caldo atroce, stava sudando, e dopo pochi secondi sentì uno strano odore entrargli nelle narici.

Spalancò gli occhi mettendosi a sedere e s'immobilizzò guardandosi intorno: non si trovava a casa sua, ma era in una camera da letto a lui sconosciuta. E tutto era coperto dalle fiamme.

Istintivamente si rannicchiò allo schienale del letto, nonostante ogni suo muscolo si fosse irrigidito non riusciva a smettere di tremare. Era sul punto di urlare, ma si mise una mano in bocca e la morse fortemente per trattenersi.

Iniziò a dondolare mormorando «Calmati... calmati... è solo un altro incubo», ma continuava a fissare le tende, l'armadio, il tappeto, avvolti dalle fiamme che si agitavano veloci e capì che non era un sogno, era tutto vero.

Sapeva di dover scappare via, ma non riusciva a muoversi. Le gambe sembravano due pesanti blocchi di pietra, non reagivano.

Improvvisamente, però, un'anta dell'armadio si sganciò e cadde sul letto, così, come se tutti i suoi sensi si fossero svegliati in quel preciso istante, si spinse via e finì sul pavimento. Al momento rimase disteso a terra, vicinissimo alle fiamme che lo sfioravano pericolosamente.

Dopo pochi secondi iniziò a chiedersi dove si trovasse Maya e immobile sussurrò «Maya», facendo dei profondi respiri. Chiuse gli occhi per un attimo, poi con una forza sconosciuta si alzò gridando «Maya!», ma senza ricevere una risposta.

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