17. Is It Right

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La prima settimana come direttrice passò tranquillamente, almeno senza troppi intoppi.

Comunque, quasi come per farmi "provare" quelli che sarebbero stati i miei compiti da ora in avanti, mio padre mi aveva riempito di impegni che avrebbero riguardato tutti gli ambiti, dalla supervisione dell'attività del personale, al controllo delle finanze.

Per fortuna avevo ogni fine settimana libero, per questo la domenica mattina mi misi a leggere con calma dei documenti nel salone privato.

Cercai di ricreare un'atmosfera rilassante (era una di quelle giornate in cui non si ha voglia di fare niente), così mi sedetti comodamente su una sedia con il pigiama ricoperto di orsacchiotti, i pantaloni rigorosamente dentro i calzini fucsia, e un bicchiere pieno di succo alla pesca, quando mio padre entrò e si sedette a capo tavola.

«Buongiorno. Sono contento che tu stia cercando di impegnarti a lavoro».

«Grazie», le conversazioni con mio padre erano sempre piuttosto interessanti.

Stavo per riconcentrarmi sui fogli, ma improvvisamente si alzò, «Questa sera avremo una cena con uno dei nostri più importanti collaboratori, verrà tutta la famiglia».

Lo guardai confusa, non avrebbe potuto dirmelo anche rimanendo seduto? «D'accordo...», iniziò ad incamminarsi verso l'uscita, «Non fai colazione?»

Non mi rivolse neanche uno sguardo, «Ho già mangiato» e uscì dalla stanza.

***

Una volta essermi seduta in auto, mi lisciai la lunga e morbida gonna con le mani, cercando di non farla stropicciare.

Nonostante l'occasione non fosse davvero formale, notando l'eleganza di mia madre decisi anch'io di indossare uno dei miei abiti più belli.

Con un corpetto a girocollo bordeaux ricoperto di merletto nero, la gonna leggera della stessa tonalità scendeva ricreando un piccolo strascico. Le maniche strette si fermavano ai polsi lasciando spazio al braccialetto di mia madre, abbinato a un paio di orecchini lunghi e brillanti.

Rimanemmo in silenzio per tutto il tragitto, io stringendo la mia pochette nera, i miei genitori guardando fuori dal finestrino, come se fossero sovrappensiero.

Non appena arrivammo di fronte uno dei ristoranti più lussuosi di Manchester, scesi dall'auto subito dopo mio padre, che si fermò ad aspettarmi, «Maya questa cena è molto importante per noi, mi raccomando», rimase a guardarmi negli occhi e aggiunse «Ascolta stando in silenzio».

Alla sua raccomandazione aggrottai la fronte, confusa, ma senza permettermi di chiedere il motivo, s'incamminò verso l'entrata mormorando «Dovrebbero essere già arrivati», lasciando me e mia madre indietro.

Il receptionist, dopo aver chiesto qual era la prenotazione, ci accompagnò al piano di sopra fino ad una piccola sala riservata dietro un arco che lasciava intravedere un grande lampadario di cristallo, sotto al quale si trovava un unico tavolo rotondo.

Riconobbi immediatamente i due uomini eleganti seduti, che appena si accorsero della nostra presenza, si alzarono e ci vennero incontro.

«Buonasera Mr. Harrison, Mrs. Harrison» dissero in coro stringendo la mano ai miei genitori.

«Miss. Harrison è un piacere rivederla» disse Mr. Nigel Murray, il padre di Torrian, «Devo dirle che il discorso pronunciato il giorno della sua nomina mi ha particolarmente colpito... anche Torrian non fa altro che ammirare i suoi modi da quella sera, vero?»

Lanciò uno sguardo al figlio che improvvisamente divenne paonazzo, e io non potei fare a meno di sorridere, non immaginavo fosse così timido. Si ricompose tossicchiando, così che mi guardò negli occhi e chiese «Vogliamo sederci?»

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