Capitolo 2

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CLARKE:

Era già 1 giorno che cavalcavamo lungo i sentieri verso la strada di casa. La stanchezza si faceva sentire. Octavia era sempre in prima fila, mentre io me ne stavo dietro in disparte, osservando lei e Murphy in sella ai propri cavalli, scambiarsi qualche parola di tanto in tanto. Quel momento mi ricordò quando me e Lexa ci sorridevamo a vicenda, mentre lei mi definiva eroina della mia gente. Quel giorno, fu l'ultima volta che vidi Arkadia dopo tanto tempo. L'idea di tornare lì mi faceva male, perché ricordi perenni mi riportavano a lei, ma l'unica cosa che mi teneva ancora la testa sulle spalle, fu l'idea di rivedere mia madre. Ad un tratto Octavia, fece cenno di fermarsi, e tirai le redini per fermare il cavallo. La vidi scendere insieme a Murphy ed io feci lo stesso. Amavo il rispetto e il silenzio che i due avevano nei miei confronti, perché capivano il mio dolore.

"Credo che qui possa andare bene!" disse Octavia legando le redini intorno ad un tronco di pino.

Avevamo bisogno di riposare e quello fu un momento perfetto dal momento in cui a causa della paura di essere seguiti non avevamo sostato nemmeno per più di un'ora. Legai anche il mio di cavallo, e da una delle sacche estrassi un pezzo di stoffa che abitualmente utilizzavo per tenere al caldo qualcosa da mangiare. Di tanto in tanto mi voltavo per osservare i miei amici, e improvvisamente mi soffermai sui rumori che la foresta emanava. Scorsi in lontananza il dolce suono di un ruscello provenire alla mia destra, verso un sentiero poco visibile. Tornai a concentrarmi sui miei amici e vidi Octavia venire verso la mia direzione.

"Credo ci sia un ruscello nelle vicinanze, vado a prendere un po' d'acqua!" dissi prima che lei potesse chiedermi qualcosa riguardo Lexa. E infatti, la vidi serrare immediatamente la bocca e mi rispose con un cenno del capo. Le sorrisi con apprensione, presi un contenitore, stringendo ancora tra le mani la stoffa e mi avviai verso il piccolo sentiero scosceso. Camminando per pochi minuti raggiunsi il ruscello, e fu oro per me. Mi aggrappai ad alcune radici fuoriuscite da sotto terra, e attenta a non inciampare scesi verso la riva. Arrivata a destinazione mi inginocchiai lungo la ghiaia inumidita dall'acqua e prima di toccarla, mi accertai che non ci fosse nessuno. Una volta al sicuro, mi sfilai la giacca nera, facendo attenzione a non toccare troppo la ferita che mi ero provocata sulla mano rompendo quel maledetto vetro. La poggiai per terra vicino le mie gambe e piano mi chinai verso l'acqua. Cominciai ad osservarla concentrandomi sul mio riflesso. Ero a pezzi. Il mio volto era ancora gonfio di dolore e il mio umore faceva a cazzotti con ogni cosa che pensavo e vedevo. Portai le mani davanti ai miei occhi e vidi che ancora erano macchiate di quel sangue nero che non avrei mai dimenticato. Senza pensarci due volte, misi le mani nel ruscello e cominciai a sfregarle notando il sangue disperdersi lungo il fiume. Quel sangue mischiato con il mio. Una volta lavate, presi il pezzo di stoffa, lo strappai ed improvvisai una fasciatura lungo il palmo della mano. Quel gesto non solo mi provocò dolore, ma ricordai quel momento in cui io mi presi cura delle ferite di Lexa quando affrontò Roan in un duello. Sospirai. Una volta sistemata, presi con l'altra mano un po' d'acqua e feci dei piccoli sorsi, mi bagnai il viso e cominciai a riempire il contenitore che avevo preso in precedenza. Una volta fatto, afferrai la giacca e tornai dai miei amici. Al mio arrivo Murphy aveva improvvisato un piccolo focolare, e Octavia era intenta a sistemare le ultime pietre intorno al fuoco. Notarono subito la mia presenza.

"Ho preso l'acqua!" mi limitai a dire. Octavia mi sorrise e prese il contenitore, portandoselo subito alla bocca.

"Grazie!" disse semplicemente, mentre Murphy ci osservava da non troppo lontano, in silenzio. Mi sedetti su una delle pietre, e dal freddo che mi pizzicava la pelle, mi rimisi la giacca. Passammo quasi tutto il pomeriggio nel più totale silenzio, fin quando non arrivò sera. I nostri volti erano illuminati soltanto dalla luce che la calda fiamma emanava intorno a noi. Il povero Murphy non resisteva più, voleva parlare e io notai la sua sofferenza nel non poterlo fare. Aveva tante domande come le avevo io e persino Octavia. Presi coraggio e fui la prima a parlare.

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