Capitolo 8

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ROAN:

Da quando Ontari uscì dalla mia stanza all'inseguimento di Clarke trascorsi tutto il tempo e tutta la notte sveglio a contemplare il fuoco, seduto su una vecchia sedia di legno. Di tanto in tanto mi dondolavo con il piede, concentrato su quelle fiamme che si facevano sempre più vivide. Poggiai un gomito sul braccio della sedia e con la mano mi tenni il mento, socchiudendo piano gli occhi a causa della stanchezza. Stavo riflettendo sulle parole che poche ore prima mi aveva detto Clarke riguardo Lexa.

"Perché non dare un'occasione a lei di sopravvivere? La vecchia Lexa è ancora dentro di lei!" Quelle parole mi tormentavano la mente e cominciai a studiare un piano e soprattutto un modo per far si che Heda potesse sopravvivere davanti ad Alie. Arrivai a pensare che se Alie riuscisse ad ottenere il chip di Lexa potesse tornare in vita fisicamente e quindi annientata anche con un colpo di pistola o di spada, essendo lì materialmente.

Aprii gli occhi, davanti quella folle e geniale idea e mi meravigliai soprattutto della mia bontà. Da quando Lexa mi aveva salvato ero cambiato, e pensai che forse, farle dimenticare il suo amore e tutto ciò di più positivo intorno a lei fosse una scelta sbagliata. Mi schiarii la voce rauca, dettata da un piccolo raffreddore e chiamai urlando, uno dei miei uomini.

La guardia entrò nella mia stanza e mi chiese quale fosse il mio ordine. Mi voltai leggermente, rimanendo seduto a gambe aperte e chiesi all'uomo di portare il prigioniero da me. Intanto si era fatto giorno e un piccolo raggio solare entrò attraverso la finestra illuminando di poco la mia fredda e buia dimora.

L'uomo si allontanò e poco dopo fece ritorno insieme ad un'altra guardia e in compagnia di Jaha, che aveva ancora i polsi legati. Una volta arrivati, dissi loro di lasciarci soli e mi alzai dalla sedia in direzione dell'uomo di colore. Lui se ne stava in ginocchio in attesa di una mia domanda.

"Alzati!" lo incitai ad alzarsi da terra. Faticosamente e con la sola forza delle gambe si tirò su e fu chiara la nostra differenza di altezza. Lo squadrai affondo poi mi avvicinai ed afferrai un coltello che avevo a un lato della cinta. In quel momento, per la prima volta, sul suo volto si dipinse un'espressione di terrore e portò avanti le mani in segno di difesa.

"Ti prego, non farlo!" mi supplicò e chiuse gli occhi impaurito del mio gesto.

Avevo così voglia di pugnalarlo e far fine a quel dolore ma mi avvicinai con cautela e con la sola forza della lama tagliai le corde e lo liberai. Lo vidi riaprire piano gli occhi, sorpreso da quel gesto. Ritrasse le braccia, e cominciò a toccarsi i polsi per lenire il dolore di giorni.

"A cosa devo questa clemenza?" mi chiese. Io tornai a camminare avanti e indietro ancora indeciso su ciò che avevo appena fatto.

"Devi fare una cosa per me!" dissi con voce rauca. Non riuscivo a guardarlo. Mi sentivo un codardo, ma forse, era l'unico modo per arrivare ad Alie.

"Che cosa esattamente?" mi chiese l'uomo incuriosito.

Stavo per attuare il mio piano.

"Devi uccidere Lexa per me!" A quella mia richiesta, sgranò gli occhi e un piccolo sorriso apparve in un angolo della sua bocca. Io mi voltai cercando di contenere le mille emozioni che attraversavano il mio corpo.

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