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Lasciammo l'ospedale tutti insieme e, davanti all'auto dei Miller, Jane e Bob si offrirono di riportare a casa sia me che Aaron. Entrambi avevamo declinato gentilmente, spiegando che ci saremmo fermati lungo la strada per comprare il necessario per la festicciola di quella sera. Bob però aveva insistito, con l'appoggio della moglie, e non voleva sentir ragioni: accettammo.

Ora eravamo seduti in macchina tutti e cinque, io e Samuel separati da Aaron, i coniugi Miller seduti nei due posti davanti e una leggera musica che rendeva il silenzio meno odioso di quanto non fosse.

«Keyla, Sammy ci ha detto che sai cantare benissimo!» esclamò ad un certo punto Jane, mentre Bob si fermava ad un semaforo rosso.

«Mamma, va bene quando mi chiami Sam ma non Sammy, ti prego.» la supplicò il figlio, facendola ridacchiare.

«Cosa? Io... ehm... non sono così brava.» spiegai poi io imbarazzata, con le guance che prendevano colore di secondo in secondo.

«Non sei così brava?» si meravigliò Aaron deconcentrandosi da quello che stava facendo, e cioè scrivere ad un certo Will.

Aaron mi guardò spalancando gli occhi azzurri ed espressivi, sapevo alla perfezione cosa stesse pensando e altrettanto bene sapevo che cosa avesse intenzione di fare. Samuel, ne frattempo, mi fissava senza alcuna espressione in viso, il che mi fece pensare che era più bello quando mi sorrideva o quando commentava qualcosa sarcasticamente, non che non fosse bello anche ora ma con un'espressione sul volto lo preferivo. Bob ripartì e alla radio partì What's Up*- dei 4 Non Blondes - e imprecai perché la sapevo a memoria, e Aaron ne era naturalmente al corrente.

«Perché non canti questa, Keyla, e mostri a Jane e Bob che non sei così brava.» mi schiacciò un occhio Aaron, mostrandomi un sorriso non proprio da santo.

«La sai? Dai vogliamo sentire!» esclamò Jane entusiasta.

Gli ormoni della gravidanza, e di questo ne ero più che certa, le davano alla testa. Una seconda cosa di cui ero particolarmente sicura era che l'avrei fatta pagare a Aaron: sapeva benissimo che diventavo tutta rossa mentre cantavo di fronte a qualcuno, sapevo che mi imbarazzava e che avevo il costante terrore di sbagliare nota. Per questo mi sarei vendicata, forse. La chitarra incominciò e un nodo mi si formò in gola: dovevo cantare davanti ai genitori di Samuel.

"Twenty-five years and my life is still

Trying to get up that great big hill of hope

For a destination

I realized quickly when I knew I should

That the world was made up of this brotherhood of man

For whatever that means

And so I cry sometimes

When I'm lying in bed just to get it all out

What's in my head

And I, I am feeling a little peculiar

And so I wake in the morning

And I step outside

And I take a deep breath and I get real high

And I scream from the top of my lungs

What's going on?

And I say, hey yeah yeah, hey yeah yeah

I said hey, what's going on?

And I say, hey yeah yeah, hey yeah yeah

I said hey, what's going on?"

D'un tratto non ero solo io che la cantavo. Si erano aggregati Jane e Bob, Aaron e persino Samuel. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare, cullata da quelle note e quelle parole che conoscevo alla perfezione. Ero felice quando cantavo, le mie corde danzavano allegramente e il mio cervello diventava sempre più leggero. I problemi, quelli costanti e che affrontavo di giorno in giorno, abbandovano il mio corpo facendomi sentire quasi in paradiso. Si, la musica era probabilmente la mia vita. Senza di lei non so come avrei fatto.

Qualcosa di nuovo (#Wattys2016) || COMPLETATA ✅Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora