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Dopo la chiamata di Jennifer, mi precipitai in bagno per potermi lavare i denti e sistemarmi il meglio possibile. Raccolsi con un mollettone i capelli neri, mi guardai un attimo allo specchio e poi presi un respiro profondo. Il primo pensiero non volò a Samuel, ma ad Alison e al bambino: che cosa era successo? Stavano bene?

Quindi corsi in camera e notai un piccolo cumolo di panni che mia mamma mi aveva lasciato sulla sedia della scrivania, afferrai una maglietta a caso e un paio di pantaloncini di jeans. Con me, oltre alle chiavi di casa - con le quali chiusi la porta con un paio di mandate -, portai il cellulare e nulla di più. Uscendo dal palazzo notai immediatamente la vecchia auto verde di Jennifer, che la madre le faceva usare spesso; mi avvicinai in tutta fretta, correndo poi alla parte del passeggero e salendo a bordo della macchina. La salutai appena, pronta a riempirla di domande sulla situazione di Alison e del bambino. Prima di parlare, però, iniziai ad immaginarmi Samuel seduto in una sala d'aspetto e preoccupato per suo figlio.

«Jen, ti prego, dimmi che stanno bene entrambi.» supplicai la mia migliore amica con gli occhi, illudendo ad Alison e il piccolo.

«Ne so quanto te, Keyla.» mormorò, lei partendo alla volta dell'ospedale. «David mi ha chiamata subito dopo aver sentito Samuel. Lui non gli ha detto molto, solo che stava andando in ospedale per Alison, allora David me lo ha ripetuto e io ho fatto la stessa cosa con te.»

Dal suo tono si percepiva la preoccupazione, sensazione che provavamo entrambe in quel momento. Io e Jennifer non avevamo mai sopportato Alison, e sapevamo benissimo che il sentimento era reciproco. Era una cosa naturale, un'antipatia nata all'inizio della nostra avventura da liceali. Lei aveva tutto, era popolare ed era la capo cheerleader; Jennifer ed io, invece, eravamo quelle definite come "sfigate". Nonostante il nostro rapporto, non riuscivamo a non preoccuparci per lei; per quello che ne sapevamo, tutto il gruppo delle cheerleader le aveva voltato le spalle non appena la voce della gravidanza si era sparsa in tutta la Lincoln High, quindi non aveva nessuno e Jennifer ed io volevamo esserci per lei. Volevamo ricominciare.

Pensai nuovamente a Samuel, mentre poggiavo la fronte al finestrino del mio lato. Chiusi gli occhi per un momento, sperando che almeno lui stesse bene. Egoisticamente, mi chiesi come mai Samuel non avesse avvisato me subito dopo aver chiamato David, infondo io ero la ragazza che lui amava! Poi però mi misi a riflettere: Keyla, adesso calmati e ricomincia ad usare la ragione, mi dissi.

«Manda un messaggio a Will e Aaron, sono amici di Samuel e di sicuro vorranno stargli accanto.» ordinò Jennifer imboccando la via dell'ospedale.

Avevo il cuore a mille mentre scendevo dalla macchina della mia migliore amica, addirittura mi sudavano le mani mentre componevo l'SMS per Aaron. Posai in tasca il telefono a compito eseguito, seguendo Jennifer fino all'entrata dell'ospedale; c'era sempre quel dannato odore di disinfettante che mi faceva schifo, inoltre tutto quel bianco che ci circondava mi sembrava opprimente. C'era un gran via vai quel mattino, la gente andava e veniva e i dottori sembravano più indaffarati che mai.

Mi bloccai davanti alle porte automatiche, mi sentivo male. Jennifer nel frattempo si era avviata al banco servizi per chiedere informazioni, allontanandosi da me. Guardai il pavimento, anch'esso bianco, e mormorai un flebile «Scusa» a chiunque mi venisse addosso, dandomi spallate leggere o spinte che mi spostavano appena. Non mi accorsi che Jennifer era tornata da me fino a quando lei non posò una mano sulla mia spalla, guardandomi con aria preoccupata.

«Keyla, va tutto bene?» domandò allora, prendendomi per mano e spostandomi dalle porte automatiche. «Sei pallida.»

«E' tutto okay, solo la situazione che mi rende così...» spiegai io, lasciando a metà la frase.

Lei annuì poco convinta e facendomi un segno, ci avviammo verso un ascensore. Salimmo a bordo di quest'ultimo insieme ad altra gente, c'era chi aveva lo sguardo spento o stanco, e chi invece si stringeva nel lungo camice bianco e chiaccherava con qualcuno. Jennifer ed io scendemmo al terzo piano, avviandoci lungo un corridoio dalle pareti celesti e, addossate queste, alcune sedie foderate in stoffa blu scuro. C'era sempre quell'odore insopportabile di disinfettante, ma qua si sentiva relativamente di meno.

Qualcosa di nuovo (#Wattys2016) || COMPLETATA ✅Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora