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La macchina di Alison aveva, al suo interno, uno di quei profumi che si attaccando allo specchietto centrale, l'aroma era quello di pino. Allacciai la cintura del sedile passeggero, aspettai che lei avviasse il motore e poi mi chiesi come mai mi stesse dando un passaggio, e sopratutto che cavolo ci facesse lì. La nuova città in cui viveno, quella in cui mi ero trasferita per il college, distava a ben quattro ore - col traffico sicuramente di più - da dove abitava lei. Insomma, era incinta e si era fatta chissà quante ore di viaggio, quel'era il motivo che l'aveva spinta a tanto?

«Ti starai chiedendo perché sono qui, giusto Keyla?» domandò lei ad un tratto, quasi leggendomi nel pensiero.

Io rimasi in silenzio, non sapevo bene come rispondere. Non ero sicura che un semplice "Si" fosse abbastanza, non ero più sicura di nulla. Così, al posto di parlare, girai il capo nella sua direzione e la squadrai dall'alto in basso: la pancia si era gonfiata, segno che la gravidanza procedeva alla grande, i capelli rossi erano sistemati in un taglio a caschetto che le donava molto. Gli occhi, però, mi colpirono più di tutto. Nel corso della mia "carriera" da liceale, avevo imparato a conoscere gli sguardi minacciosi di Alison, quella luce che la faceva sentire superiore a tutti; ora non la vedevo più, era come se fosse svanita. Alison era cambiata in quel lasso di tempo in cui non l'avevo vista.

«Avevo bisogno di parlare con te, sai?» riprese lei senza guardarmi, seguendo alla lettera le indicazioni che le davo man mano e rimandendo concentrata sulla strada.

«E non potevi chiamarmi?» domandai perplessa, sorvolando sul tono della mia voce che dava alla domanda più sarcasmo di quanto non volessi dargli.

«Keyla, volevo chiederti scusa di persona e mentre ti guardo negli occhi.» proseguì lei, dando poca importanza al mio tono. «Potevo chiamarti, certo, ma non sarebbe stata la stessa cosa.»

In una sola volta mi aveva spiazzata. Ora avevo la conferma di tutti i miei dubbi: quella che era seduta accanto a me, quella che mi stava riportando al mio appartamento non era la stessa persona che avevo conosciuto al liceo. Sembrava una nuova Alison, più buona e gentile. Mi meravigliai dei miei stessi pensieri: com'era possibile cambiare in così poco tempo?

«Non credevo che il concetto di scuse fosse nel tuo vocabolario.» affermai sincera, provocando una risata di gusto in lei e una nervosa in me.

«Lo so, l'ho aggiunto da poco.» replicò lei sempre ridendo.

Le indicai di svoltare a destra, poi si fermò ad un semaforo rosso ed io guardai il cielo. Era sempre azzurro, infinito e magnifico, ma adesso aveva preso una tonalità più scura e, nel mentre, si mischiava coi colori del tramondo, rendendo il tutto più strabiliante. Gli occhi mi si illuminarono: quella serata sarebbe stata magnifica ed io, mentre Alison riprendeva a correre lungo la strada, pensai che mi sarei ritagliata un momento solo per me per guardare le stelle.

«Comunque, come mai volevi chiedermi scusa?» chiesi io, tornando con lo sguardo su di lei.

«Be', io e te non siamo mai state in buoni rapporti. Volevo chiederti scusa, Keyla, per come mi sono comportata con te durante gli anni del liceo, per il modo in cui ti trattavo e...» lasciò la frase in sospeso, facendo nascere in me una serie di dubbi.

«E?» la incalzai io, mettendole una mano sull'avanbraccio e facendo incontrare per pochi secondi il nostro sguardo.

«Per averti rubato Samuel.» concluse lei, ora con un tono triste.

E pronunciando il suo nome, il mio cuore perse un battito e il mio corpo si paralizzo. Ricordai l'ultima volta che avevo visto Samuel, l'ultima volta che avevamo avuto quella discussione in ospedale e poi mi chiese che cosa stesse facendo in quel momento. Scacciai i pensieri, scossi il capo e tornai lucida.

Qualcosa di nuovo (#Wattys2016) || COMPLETATA ✅Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora