23.

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È arrivata la sera della festa di Halloween.
So perfettamente che si tratterà dell'ennesima pagliacciata per malati di mente, che l'alcool verrà sostituito da punch e fanta, come in seconda media.

I ricordi della mia altra vita riaffiorano alla mente come un camion in corsa sulla tangenziale.

Appena entrata nel vialetto della casa abbandonata dove si sarebbe tenuta la festa, non potevo fare a meno di notare il tema della serata: birra, vodka e canne.
"Nulla di speciale" pensavo tra me e me.
Io e la mia combriccola non sapevamo nemmeno chi avesse organizzato la festa, ma poco importava: i punti fondamentali erano ubriacarsi e strafarsi.
Altro che zucche, fantasmi e dolcetto o scherzetto.
Una volta entrati, la luce dei pali della strada venne sostituta da quella soffusa di pochi lumini e qualche candela, il che non prometteva nulla di buono.
Tutte le stanze mancavano di mobilio, le pareti erano umide e ricoperte di muffa e il soffitto era crepato.
I nostri bicchieri venivano riempiti a dismisura, facendo persino macchiare il pavimento.
Ogni qual volta Luke mi sfiorava, perdevo sempre un battito.
Era la mia cotta del momento, e mi odiavo per questo: lui era il mio migliore amico dai tempi dell'asilo e inoltre era il ragazzo della mia migliore amica, Bridget.
Lei era la classica brava ragazza che non si spinge oltre il bacio troppo presto; lui non poteva aspettare.
Erano agli antipodi, per questo mi chiedevo continuamente che cosa fosse a legarli in quel modo. Solo più tardi avrei capito: era amore. Un amore dannato, impaziente e rispettoso allo stesso tempo.
Luke mi si era avvicinato, porgendomi la canna.
Dopo un paio di tiri ero certamente su di giri, ma non come il ragazzo.
Probabilmente aveva preso qualche pasticca in più.
La stanza si ingrandiva e stringeva ritmicamente, la musica creava un gran casino nel mio cervello e non potevo fare a meno di ridere come una pazza.
Il giorno dopo ci sarebbe stata scuola.
Nel frattempo mi ero avvicinata pericolosamente a Luke, di Bridget non c'era l'ombra; così lo baciai.
Inizialmente, tutt'altro che titubante, mi ricambiò, aumentando la velocità con la quale le nostre labbra entravano in contatto, con foga.
Qualche secondo dopo si era staccato da me bruscamente, in un attimo di lucidità.
<Cass, non posso.>
<Certo che puoi!> cercavo di ricominciare, ma lui mi allontanava.
<No! Non posso.>
<Non puoi o non vuoi?> avevo chiesto con tono irritato.
<Non voglio, stupida puttanella del cazzo!> mi aveva spinta lontano da lui e il suo tono era decisamente troppo alto, tutti potevano sentire.
E per uno scherzo del destino, qualcuno di molto crudele aveva spento la musica, così che tutti potessero concentrasi sulla nostra discussione.
Fa maledettamente male quando il tuo amico di una vita si rivolge a te con quelle crude parole, senza segno di pentimento sul volto e davanti a tutta la popolazione adolescente della città.
<Non voglio stare con te un secondo di più. Io amo Bridget... Devi capacitartene.>
La folla si era accalcata intorno a noi, in una morsa mortale di risate, schiamazzi e insulti vari, tutti indirizzati a me e decisamente variopinti.
<Che cazzo di troia!>
"oh,no" pensavo.
La mia vita era rovinata.
<Bridget...> mi rivolgevo a colei che per me era stata anche più di un'amica, anche più di una sorella.
<Non provare nemmeno a rivolgermi la parola, puttana.> lei sapeva usare bene le parole, lo sapeva fare maledettamente bene. Sapeva cosa mi facesse più male, sapeva come colpirmi dritta al cuore.
Le parole erano proiettili infuocati d'odio.
Le parole erano lame affilate.
<Bridget, sono completamente fatta, non rispondo delle mie azioni!> provavo a giustificarmi.
<Ma io sì!> detto questo mi tirò un pugno in piena faccia.
Potevo percepire il sangue colarmi dal naso e gli occhi pizzicarmi.
Indietreggiai, ancora dolorante, scivolando su una tenda. Andando a sbattere contro l'unico tavolo presente della stanza, le bottiglie aperte caddero sulle candele sparse al di sotto della finestra.
I tendaggi si infuocarono, l'alcool non aiutò.
Scappai.
Correvo per le strade senza una meta precisa.
La totalità degli avvenimenti che si erano fatti strada nella mia vita da meno di un anno a quella parte,mi si stava scaraventando addosso come una secchiata d'acqua gelida.
Mi ero ritrovata seduta sulla spiaggia, poco distante dal Pier e dalla scuola, dove il giorno dopo tutti avrebbero sparlato di me.
La mia vita era inevitabilmente rovinata, e stavolta la colpa era solo mia.
Solo e soltanto mia.
Ero sola, così presi a lanciare i sassi contro quella promettente distesa d'acqua scura.
Desideravo scappare.
Prendere il primo aereo per l'oltreoceano, ma bastava anche uno stupido bus per Londra.
La vita era un ammasso di disgrazie terribili ed ingiuste.

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