4 | Collapse

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La notte passò.

Nessun aveva osato interagire con me, neanche per aprire la porta della mia stanza per controllare che stessi bene. Se la mia famiglia avesse voluto che rimanessi, beh, si sarebbe dovuta impegnare di più nel dimostrarlo.

Tuttavia, intorno alle nove e mezza – ovvero durante l'orario di sonno di Michelle – sentii dei passi fuori la mia porta. La speranza mi palpitò nel cuore, pensando che forse la mia sorellina mi avrebbe visitata in questo momento di tristezza e solitudine... Robin non mi aveva neanche risposto ai messaggi o alle chiamate, il che non fece che lasciarmi confusa.

Ma invece, la pesante voce che proveniva dalla gola di mio padre fece eco nel corridoio, intimandole di andarsene. Solo un attimo di esitazione mi bastò per poter udire un leggero, «Buonanotte, Violet,» sorrisi attraverso le mie costanti lacrime, ma era l'unica cosa che sentii della mia famiglia per tutta la notte.

Rannicchiata attorno alle coperte del mio letto, quasi mi sentii malata, e la risposta alle mie domande mi deluse. Per un'ora rimasi a piangere, a singhiozzare silenziosamente, e le spalle si sforzarono a trattenere il tutto pur di non permettere a mio padre di conoscere il male che mi stava procurando.

Ma questa dolore apparse quando un pensiero tormentato mi passò per la mente. Alle tre di mattino, scelsi l'opzione di lasciare una messaggio al mio cellulare. Non avendo controllo delle mie emozioni, digitai freneticamente sullo schermo.

Se fossi andata con Robin, sarei stata libera dall'ambiante opprimente e repressivo che avvolgeva la casa in cui viveva mio padre. Sarei andata a vedere New York, a viverci. Sarei andata a scuola e avrei studiato qualcosa che amavo, avrei fatto qualcosa per me stessa.

Veramente, sarei stata felice anche se avessi lavorato come barista, mo lo avrei fatto vivendo. Io e Robin potevamo fare questa esperienza insieme. Sapevo di certo che da sola non ce l'avrei fatta. Non possedevo tutto questo coraggio, ma magari avendo Robin al mio fianco lo avrei fatto.

Non c'era – per quanto la mia mente riuscisse a vedere – alcun ostacolo nell'andare. A parte l'ovvio, almeno, i pensieri e i sentimenti di Michelle mi interessavano in quel momento. Poco mi importava invece quello che avrebbe pensato mio padre, perché sapevo che se gli avessi spiegato dove sarei andata sarebbe stato felice della mia assenza. La mamma si sarebbe comportata peggio, ma non mi avrebbe di certo convinta a restare. Michelle era l'unica persona con un cuore, e la più giovane. Non meritava di vivere tale stress a quell'età.

Tuttavia, qualche ostacolo c'era. Così tanti anche, e pochi vantaggi. Mio padre sarebbe stato talmente freddo con me dopotutto, che avrei ricominciato a lavorare nella concessionaria senza speranza di andare al college o peggio: avrei affrontato tutto questo senza Robin.

Teneva a me più di qualunque altro. Non saprei come dirigere la mia monotona vita da sola.

Dopo aver meditato su tutto questo, arrivai ad una decisione, in cui sarebbe stato meglio per me andarmene con lui in un paio d'ore. Ma poi... poi mi ricordai dell'uomo.

L'uomo che sembrava mi stesse seguendo per giorni. Almeno, pensavo fosse così. Per qualche ragione la mia mente era ancora concentrata di quella notte, alla partita di hockey e quando eravamo bloccate nella neve, prima che quegli occhi appartenenti a quell'uomo minaccioso si rivolsero a me. Perfino mentre toglievo la neve dalla mia macchina avevo sentito qualcosa fissarmi. E se fosse lui, nascondendosi dietro i rami degli alberi, rimanendo ad osservare me e la mia sorellina? Non era di certo una coincidenza che fosse lì quella mattina. Il modo in cui si avvicinava a me con quell'espressone che non suggeriva alcuna buona intenzione se non quella di strangolarmi.

Cosa avrebbe mai voluto? Chi era lui?

Dubitai che provenisse da Northridge, avrei riconosciuto il viso, un viso terribilmente bello.

The Northridge Ripper | Harry Styles (Italian Translation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora