1 | Drift

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«Violet, ho paura»

La ruota girò con una forza talmente grande da permettere al veicolo di sbandare contro la neve, infatti udimmo un leggero tonfo e la macchina giunse ad un sordo arresto. Seduta sui sedili posteriori, la mia sorellina si lamentò del fastidioso rumore.

Cazzo.

«Va tutto bene, Chelle. E' solo la stupida strada.»

La mia mano sembrò congelarsi sul volante mentre cercai di muoverla contro di esso, cercando di toglierci da quella situazione con certo sforzo. Premetti il piede contro il pedale, il motore accelerò compiendo immaginabili giri al minuti ma noi rimanemmo ferme alla deriva.

Era colpa mia. Non avevo pensato che sarebbe stato così profondo, ma a metà strada affondammo nella spessa polvere bianca; la fronte della macchina affogò dentro. Avrei potuto affrettarmi per cercare di impedirne l'avvenimento, ma le dure istruzioni di papà riguardo a guidare sulla neve si ripeterono nella mia testa; se ti fossi ritrovato di fronte ad un punto pericoloso, non avresti dovuto fermarti. Ti ritroveresti ancora più bloccato.

Tante volte avevo ascoltato mio padre, avevo fatto esattamente come diceva, e non mi ricordavo le volte in cui traevo vantaggio dalle sue istruzioni. Stanotte non faceva alcuna eccezione.

Sbuffai frustrata. Un pennecchio d'aria si presentò davanti a me, prodotto dal mio respiro e l'aria fredda. La macchina non aveva ancora trovato il tempo di riscaldarsi. Eravamo a quattro o cinque miglia dalla nostra casa adesso, vicino alla periferia di Northridge, vicino alla civiltà e alle strade.

Ma eravamo qui, bloccate su questa lunga e sue
quella che era una strada colma di neve. Durante questi mesi invernali, comunque, aveva nevicato molto.

«Siamo bloccati qui, non è vero?» Michelle chiese retoricamente, ma capivo come la piccola di dieci anni non volesse confermare a sua paura. Voleva rassicurazioni, e dovevo dargliele.

«No, posso liberarmene,» mentii con evidenza mentre cercai di avviare il motore alla macchina nonostante fossimo bloccate, «Aspetta ancora un po', piccola.»

Uno sniffo proveniente da dietro mi fece capire quanto fosse sconvolta dalla situazione. Cercai di non esserlo pure io, cercando in tutti i modi di non permettere alla oscurità e all'isolamento di prendere la meglio su di me per il bene di mia sorella. Qui soprattutto nel mezzo della foresta alle sei e mezza di sera, questa confusione avrebbe creato un perfetto disastro. «Non saremmo dovute uscire. E' tutta colpa mia.»

«Non lo è,» Risposi subito, distogliendo l'attenzione dal salvarci dalla situazione per girare il collo e per vederla dietro. Si stava mordendo le unghie – un vizio che aveva preso da me – e lo faceva solo quando aveva paura. Questo istinto di nutrimento che mi pareva sempre naturale fare la faceva distrarre, nonostante il freddo che ci avvolse sul viso. «Dobbiamo cercare di andare avanti, sarei grata se tu lo facessi.»

Si calmò leggermente, togliendo le dita dalla bocca per portarle sui suoi lunghi capelli chiari, i quali avevano una sfumatura molto più luminosa del sudicio biondo chi è mi era stato dato. I miei in erano sbiaditi confronto ai suoi: noiosi, senza vita.

Le sorrisi cercando di dare una buona impressione, optando di nascondere le mie mani tremanti.

«Aspetta qui, okay? Io vado a vedere se riesco un po' a tirarla fuori. Dovrebbe aiutare.»

Condividevamo gli stessi lineamenti, lo stesso naso a bottone, le stesse labbra carnose. Anche i nostri occhi erano di mandorla, proprio sotto quelle macchie verdi che mescolandosi al marrone davano un certo contorno all'iride. I lineamenti era stati ereditati da nostra madre, il colore dei capelli da nostro padre, i quali capelli si erano sbiancati nel corso degli anni.

The Northridge Ripper | Harry Styles (Italian Translation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora