11 | Identity

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Curioso come il tempo riusciva a divorarti nella mente nei peggiori dei modi. A volte gli anni passavano così velocemente senza che tu ne te accorgevi, e a volte passavano così lentamente da sentirsi soffocare.

Oggi, o meglio finora, era stata una giornata stressante. Da una parte volevo solo affrontare ciò che aveva in serbo per me il mio rapitore, la vera ragione per cui lui mi voleva qui, dall'altra parte temevo il momento in cui il mio destino si sarebbe rivelato.

Mi aveva lasciata stordita dall'ultima volta che lo avevo visto. Quei colpi che aveva lasciato sul tessuto dei miei jeans non erano niente in confronto alla vera punizione che aveva intenzione di darmi anche se in realtà tutto sarebbe andato anche peggio. Molto, molto peggio.

Mangiare era fuori questione per me. Scoppiai a piangere quando sentii i suoi passi sparire, singhiozzando sulle coperte del letto, il cuscino era ancora a terra da quando era venuto a contatto con la sua schiena. Non solo avevo paura di muovermi dalla sicurezza e dalla protezione che questa stanza mi assicurava, ma il mio didietro doleva ad ogni mio piccolo movimento.

Era impossibile per me dire quanto tempo fosse passato – non mi disturbai di guardare fuori la finestra e giudicare la posizione del sole. Tanto non importava, sarei rimasta qui comunque e questo era terrificante.

Era troppo da accettare.

Non potevo accettarlo.

Poi sentii un rumore al piano di sotto.

Sentii delle persone. Molte persone e le loro voci era udibili da qui per via del mio  silenzio a causa di lui.

Per un momento due scelte paralizzanti mi piombarono per la testa: una, queste persone si sarebbero potute rivelare pericolose, complici del mio rapitore; due, mi avrebbero aiutata.

Cosa altro avevo da perdere?

In pochi istanti, scivolai dal letto, i piedi erano ancora avvolti dalla soffice coperta e le mie ginocchia caddero sul pavimento prima di mettermi in piedi. Ignorai il nuovo dolore alla rotula e come l'altra notte, colpii la porta.

Questa volta forte, frenetica, sapendo cosa ci avrei guadagnato.

La mia vita.

«Aiuto!» Urlai, la voce strillò quando cercai di alzarla il più possibile. «Qualcuno mi aiuti!»

Non passarono neanche due secondi prima di sentirlo salire la scale. I suoi passi erano svelti, arrabbiati, forti, e Cristo speravo che la mia mente non stesse facendo brutti scherzi.

Alla fine, con chi credevo stesse parlando? Con se stesso?

La domanda allora sarebbe: ma allora è pazzo?

Non avevo neanche il tempo di pensarci, in quanto la porta venne violentemente spalancata, e io mi costrinsi ad indietreggiare al letto, evitando di rischiare di sbatterci contro. Poi lo vidi.

Era furioso, molto più rispetto alle altre volte. Una vena pulsava sulla sua fronte, i suoi occhi erano più oscuri di sempre, e la sua bocca si era incurvata in un feroce ringhio. La sua figura si fermò alla porta. Prima rivolse uno sguardo a me, ghiacciata sul mio posto col cuore che batteva a mille, poi allo scaffale.

Al piatto pieno di cibo.

I suoi occhi tornarono a me, le prossime parole mormorate non sembravano molto minacciose, ma dette da lui sì. «Sei in un mare di guai, ragazzina.»

Oh, merda.

Sull'orlo di un pianto isterico, in un attimo lo sorpassai passando sotto di lui e finendo nel corridoio, sorpresa si essere riuscita in qualche modo ad uscire e mi recai alle scale.

The Northridge Ripper | Harry Styles (Italian Translation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora