Una volta cessato il fuoco, gli augurai buona fortuna e dopo che ebbe ricambiato, mi allontanai da lui. Non gli chiesi neanche il nome, non potevo rischiare di affezionarmici. Nonostante fosse difficile comprendere il suo inglese un pò alla tedesca, mi parlò della sua numerosissima famiglia senza soldi e senza padre, o di come venne ingannato con promesse di ricompense in oro in cambio del suo arruolamento nell'esercito. Potevo capire la sua situazione, neanche per me i primi anni dell'adolescenza furono piacevoli: la morte di mio padre ci aveva tolto uno stipendio con cui sostentarci e la mamma entrò in un periodo di doppi orari e turni extra in una sartoria, per guadagnare più soldi. Quando giunse il momento ci pensammo io e mia sorella a farle da spalla e a supportarla quando si risposò. Comprendevo la nostalgia di quel ragazzo verso la sua mamma e i suoi fratelli: lo lasciai lì, che si premeva la ferita sulla gamba, e il ricordo del suo volto riconoscente, mi fa ancora sperare che possa essere in qualche modo sopravvissuto e ancora vivo da qualche parte, o almeno, nella mia mente.
Corsi a cercare i miei compagni, stando attento a chiunque si avvicinasse: arrivai in una tenda, dove i medici facevano a gara a quanti feriti riuscissero a non far morire.
Triste vero? C'eravamo tutti abituati a quella prassi: ancora sento i loro lamenti moribondi nella mia testa.Molti li caricavano sopra un furgone per poi farli sparire e non facendoli mai tornare.
Poi una sera ebbi uno dei miei tanti incubi: sognai che una mina mi esplodesse sotto i piedi e il suolo sprofondava nell'oblio, mentre mi aggrappavo invano alle sue radici bruciate. Non sentii più il mio corpo, probabilmente trascinato in basso da una qualche forza oscura, e a quel punto urlai e svegliai tutti.
"Ma che cazzo ti prende, deficiente!!" - "Dormi, invece di fare questi scherzi idioti!"
Ero sudato, con i brividi sulle braccia, e quando mi svegliai la mattina seguente non mi riuscii ad alzare: con gli sbalzi di temperatura presi la febbre e mi portarono a farmi dare degli antibiotici o delle aspirine.
Rimasi a letto per tre giorni con le bende bagnate attorno alla testa e rividi per l'ennesima volta quella scena: feriti gravi che ostentavano le loro ferite insanguinate, mentre partivano per fare ritorno.
"Dottore, ma dove li portano?"
"Non possono più combattere così conciati e li congedano, se riescono a ristabilizzarsi, tornano a casa"
"Porteranno via anche me?"
"Hai solo un po' di febbre, ragazzo, prendi le tue medicine e starai meglio!"
Mi balenò alla testa un'idea che per voi può non aver senso, ma io sapevo che era considerevolmente la cosa più giusta da fare.
Perciò, appena fui in grado di reggermi in piedi e di ricominciare a combattere, non avevo più dubbi su ciò che dovevo fare per salvarmi.Codardo: due volte.
In qualche modo dovevo uscire da quella situazione, era ormai insopportabile.
Aspettai il prossimo attacco: mi misi in testa di dovermi ferire in qualche modo e se non ci avesse pensato il nemico, ci avrei pensato io. Questa volta non avevo intenzione di nascondermi e, quando fu il momento, decisi di farmi male a una gamba: presi il coltellino di difesa che tenevo in tasca e, un po' spaventato per l'eventuale dolore, lo piantai senza pensarci, deciso, nella coscia sinistra, poi, a occhi sbarrati e denti stretti, con tanto di lacrimoni, lo spinsi con forza verso il basso in modo da rendere la ferita il più grave possibile. Avevo visto persone ferirsi i piedi o le mani, ma non ne avevo il coraggio perché probabilmente il dolore sarebbe stato ancora più atroce.
Ciò non toglie il fatto che quella fu la cazzata più grande che potessi fare in vita mia, eppure fu quella che mi procurò il ritorno verso casa.
Non pensai al fatto che potevo rimetterci la gamba se si fosse infettata, lo realizzai solo dopo, quando arrivò una fitta lancinante di dolore scandita dai miei lamenti strozzati dal pianto. Perdevo sangue a vista d'occhio ed ebbi paura di estrarre il coltello, così lo lasciai all'interno, trascinandomi la gamba per tutto l'accampamento, fino ad arrivare alla tenda della croce rossa.
Svenni.

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You're my wind rose
FanfictionQuesta è la storia di un giovane ragazzo che, nel lontano 1939, era stato chiamato alle armi. Durante la guerra, scoprì se stesso e una realtà a lui completamente nuova. All'età di ventisei anni, documentò tutta la sua esperienza e i suoi pensie...