21.Il primo passo

38 7 2
                                    

Mamma:"Sveglia Ambra dobbiamo partire per la montagna!"

Bastò l'ultima parola per farmi saltare giù dal letto in pochi secondi.
Mio fratello era già sveglio, come sempre, in piedi a pochi metri da me.
Erano le 6:30 di un sabato mattina di luglio. Bene, che sonno. Però vabbè dai, mi aspettava un viaggetto di un'oretta, avrei potuto riposare in macchina.
Partimmo alle 7 e mezza circa, e durante il viaggio, mio fratello dormiva beatamente con la faccia appiccicata al finestrino. 
Mia mamma lo osservò a lungo, poi si rivolse a mio papà con una leggera risatina:
Mamma:"Franco, guarda come dorme Lorenzo!"
Mio padre si voltò velocemente per vedere mio fratello e poi dopo avere riso un attimo, riprese a concentrarsi sulla strada perché stava guidando.
Io avevo una sorta di malinconia in circolo, e sapevo perché. Lo sapevo anche se non volevo saperlo. Misi le cuffie nella orecchie e partì proprio da sola la canzone "Let me love you". Ah, ecco, che bella questa canzone, mi piaceva tanto. Guardavo la strada con il viso appoggiato alla mia mano sinistra, il sole mi batteva in faccia. Per evitare i raggi accecanti direttamente negli occhi, li chiusi un momento e visualizzai una persona. Era lui. Mi apparve davanti senza che lo volessi, era lì nella mia mente. Il mio cuore sobbalzò per l'emozione, poverino, e il mio cervello mi lasciò assalire da una certa tristezza. Una lacrima mi scese inconsciamente rigandomi del colore nero del mascara. Riaprii immediatamente gli occhi, stoppai la musica e guardai i miei che per fortuna non si erano accorti di nulla. Con il pollice mi asciugai quella stupida lacrima. Dai, che senso aveva piangere? Ve lo dico io, non lo aveva di senso. Provai a togliermelo dalla testa ascoltando canzoni più allegre, ma ogni volta che richiudevo gli occhi, me lo ritrovavo là davanti a me, che mi fissava. E poi se ne andava. Oppure mi ritornavano in mente tutte quelle strabenedette volte che l'avevo visto a scuola e che mi guardava, le figure di merda fatte davanti a lui.
Mi accorsi che quando lanciavo un'occhiata fuori dal finestrino mi incantavo spesso; che non guardavo più il cielo come quando ero piccola contando le nuvole e immaginando il mio futuro. Io ora guardavo la strada. La vedevo scorrere veloce con tutto il paesaggio e lo associavo alla mia vita, che va veloce, non si ferma. Che di tutto quel passato della mia infanzia con Fabio come amico mi restava solo qualche ricordo.

Mi convincevo sempre di più di non potergli piacere, e non volevo scrivergli, non potevo. Ma non volevo neanche perderlo.

Papà:"Ragazzi siamo arrivati!"
Aprii gli occhi lentamente e assonnata, mi accorsi solo allora di essermi addormentata in macchina con le cuffie nelle orecchie e la musica che andava ancora.
Io e la mia famiglia scendemmo dall'auto che mio padre parcheggiò davanti alla nostra casa di montagna. La vista dalla nostra casa toglie il fiato. È una casetta a due piani; il primo è il nostro, quello sopra lo occupa un'altra famiglia di Genova che viene lì per le vacanze e che in quel momento non c'era. Si arriva all'entrata tramite delle scale esterne e il balcone dà sulla strada quasi mai percorsa e oltre ad essa non ci sono altre abitazioni, ma si estende il prato fino alle montagne che si vedono benissimo. Si può inconfondibilmente distinguere il Monte Rosa e altre catene montuose che ti circondano da ogni parte. Sul retro della casa c'è anche lì un infinito prato di cui non si vede la fine, e percorrendolo dopo un po' si può arrivare a una stazione sciistica che però d'estate è chiusa e io e mio fratello la utilizziamo per giocare ad arrampicarci sulle sbarre.

Mamma:"Su aiutiamo papà a portare dentro le valige; tu Ambra, vai ad aprire la porta".
Non sopporto ricevere ordini, ma per non stare a pretendere un -per favore- mentre mia mamma trafficava per scaricare varie borse, annuii e salii le scale di pietra, poi raggiunsi la porta, girai la chiave nella serratura e la aprii. Entrai e respirai quell'aria che si sente di vacanza, quando arrivi a destinazione. Passo le vacanze di luglio lì da quando sono nata, per cui mi sento un po' appartenente a quel posto. Mia mamma entrò e posò sul tavolo le buste con alcuni alimenti dentro che io iniziai subito a sistemare in frigo e in dispensa. Erano le 10, per cui quando finirono di scaricare le valige mio padre decise di andare in paese con mio fratello a fare una passeggiata e godersi la giornata, dato che poi la sera sarebbe dovuto tornare a Chivasso per il lavoro e non l'avremmo più rivisto fino al venerdì dopo. Io invece restai con mia mamma a preparare il pranzo e fare i letti.

Ancora per sempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora