Gli amici hanno appreso la notizia, un po’ dalla radio, un po’ dalla televisione. Anche Paul l’ha saputo, capendo finalmente il significato di quei bigliettini trovati incollati sulla sua porta. Si sente male. Salvare Sophie è stato come avere dopo tanti anni la coscienza pulita. Si è sempre sentito in colpa per la morte di sua figlia, e a questo ha contribuito anche il fatto che tutti, moglie compresa, hanno aiutato in qualche modo a creare una tale situazione. Non è stato facile superare la morte, tant’è vero che anche se ha sempre dimostrato il contrario, quella ferita dentro di lui non si è mai chiusa. Adesso però se ne è aperta un’altra, meno profonda, ma pur sempre dolorosa. Non riesce a trovare pace, si sente come un uccellino chiuso in gabbia. E sì, salvarla dal suicidio qualche settimana prima, l’ha fatto sentire importante. Quella ragazzina così apparentemente forte, sicura di se, aveva un passato talmente difficile da non poter uscirne. E la pretesa di essere sempre perfetta che tutti avevano nei suoi confronti, le tornava alla mente ogni qualvolta lei provava a non pensarci; il mostro se l’è portata via giorno per giorno, Sophie non ha fatto molto, se non assecondare la sua ossessione. Si sentiva sbagliata, ma non poteva parlarne con nessuno, e così si è sempre sfogata solo ed esclusivamente con se stessa. Provare sensazioni forti la faceva stare bene, perché per tutto il resto del tempo non provava niente. Questa era la cosa più difficile per lei, probabilmente: gestire il niente … e il tutto, che non la facevano vivere, bensì sopravvivere. Le emozioni o non arrivavano, o arrivavano tutte insieme. E poi quei maledetti ricordi, che anche nei sogni ormai erano comparsi, vivi e vegeti, come se quella brutta esperienza fosse successa il giorno prima. Forse questo l’ha uccisa: il vuoto intorno a lei, il tutto che si presentava nella sua mente, sempre nel momento sbagliato. Poi quella notizia saputa il mese prima, quella voglia costante di piacere a tutti, perché consapevole di non piacere a nessuno. In realtà c’era chi l’amava e c’era chi la odiava, come tutti in fondo. Ma probabilmente il tutto le ha invaso la mente, facendole credere che intorno a lei ci fosse solo un vuoto enorme, il niente.
Niente e tutto che si contrapponevano, mandandola in confusione più totale. Così gli amici, Paul, continuano a pensare che se avesse avuto una persona disposta ad ascoltarla, aiutarla, tirarla fuori dal tutto che veniva sempre nel momento sbagliato, lei sarebbe ancora viva. Adesso parlarne è inutile, perché Sophie non c’è più, Sophie è sparita e l’ha voluto lei.
I genitori si sentono in colpa, specialmente la sua mamma, che non c’è un giorno in cui non si svegli senza aver fatto incubi. “L’ho uccisa io”, pensa. Se l’avesse sentita uscire da quella maledetta finestra, se solo Sophie fosse stata più forte. Presa dai sensi di colpa, nessuno dei due comprende che in realtà il danno è stato fatto prima. Attribuire la colpa alla finestra, può essere comprensibile fino ad un certo punto, perché c’è una parte nel profondo di Sophie che nessuno, compresi i suoi genitori, è mai riuscito a comprendere, solo Paul l’ha fatto. Dietro una ragazza eroica, c’era una ragazza e basta, piena di paure e di insicurezze. Probabilmente però, nessuna persona è riuscita mai a vederla sotto questo punto di vista, perché mai nessuna persona adulta l’ha ascoltata come ha fatto Paul.
Stamattina la classe è triste, sono tutti presenti, tranne Lucy e Mark. Angela proprio non riesce a cancellare il nome di Sophie dall’elenco, anche se sa che dovrebbe farlo.
“Oggi non facciamo Psicologia, voglio trascorrere questi minuti di lezione discutendo con voi riguardo una cosa altamente soggettiva.”
Angela si alza e prende il pennarello, cancella gli appunti della classe precedente e scrive una domanda: uccidersi, secondo voi, richiede coraggio?. Tutti rispondono che uccidersi è contro natura, e quindi sì, richiede un coraggio disumano. La professoressa ascolta le risposte di tutti, che anche se formulate in maniera diversa, hanno in realtà lo stesso significato. Poi arriva il turno di David, che invece risponde in un modo diverso:
“Secondo me il vero coraggio è vivere, affrontare le difficoltà, avere la forza di voltare pagina e ricominciare, anche quando le circostanze ci indicherebbero il contrario. Essere coraggiosi significa questo per me. Sorridere davanti ai problemi, superarli senza farne un dramma. I problemi fanno parte della vita, dire di averne vissuta una appieno significa anche questo: superare le difficoltà con la forza. Ce l’abbiamo tutti, chi più, chi meno. Tirarla fuori è un’arma.”
“E con ciò cosa vuoi dire?” – gli chiede Angela.
“Che Sophie è stata tutt’altro che coraggiosa. È stata troppo facile la sua soluzione, ecco cosa penso. Il vero coraggio sta nel risolvere le difficoltà che la vita ti pone, uscendone da vincitore. Lei è stata una perdente.”
Tutta la classe è senza parole, ma Angela la pensa esattamente come David. Alla fine della sua risposta gli fa un applauso, che ovviamente non viene accompagnato da nessuno. Così invece del solito compito, questa volta dà loro un tema – la traccia è: Cos’è per te il coraggio? Cosa significa essere coraggiosi?
Non è un tema da Psicologia, ma è curiosa di conoscere quello che i suoi alunni pensano sul coraggio, sulla forza.
Lucy, che non è andata a scuola perché deve essere interrogata dalla Polizia, sta svolgendo il suo dovere. I genitori di Sophie sono stati convocati per comunicare loro ciò che dall’autopsia è venuto fuori, ma prima hanno una questione in sospeso da risolvere con la ragazza:
“Al momento del ritrovo, abbiamo trovato un auto. Abbiamo intuito che voi due l’abbiate utilizzata per raggiungere il luogo che per Sophie si è dimostrato fatale. Sapete a chi appartiene la vettura?” – domanda l’agente.
“Io stavo dormendo. Sophie non si faceva sentire da circa tre settimane, né con me e né con tutti gli altri membri del gruppo. Prima della sua assenza aveva tentato il suicidio in un parco vicino casa, ma era stata salvata da un uomo che diceva di essere il guardiano. Poi una notte, e ripeto dopo tre settimane di assenza, ha bussato alla mia finestra, chiedendomi di andare con lei in un posto privo di sofferenza. Io stavo male per la morte di mio padre e per altre questioni che non sto qui a spiegarle, quindi accettai di andare con lei. Quando le chiesi come avremmo raggiunto quel luogo, mi rispose che la stavo sottovalutando. Camminammo e vedemmo una macchina nera, né troppo grande e né troppo piccola. Sophie era abilissima a mettere in moto le auto senza le chiavi, l’aveva imparato da suo fratello qualche anno prima. Sa, è sempre stata una ragazza ribelle, fuori dagli schemi.”
“L’auto appartiene ad un certo Edward Montgomery, cugino di Sarah Foster. Questo nome vi dice qualcosa?”
“Sì, Sarah è una nostra amica.”
“La signorina Foster, qualche giorno fa ha affermato di avervi viste proprio la notte della scomparsa, impegnate a lanciarle sassi nella finestra, probabilmente con l’intento di romperla. Vi ha viste scappare con l’auto. L’ha riconosciuta quasi subito grazie alla targa, ma poiché era notte fonda sperava di sbagliarsi. Il giorno dopo è andata sul posto, e pare che la macchina effettivamente mancasse. Sa cosa significa questo? Furto.”
Lucy è senza parole, come può negarlo? È tutto vero. Il silenzio dura pochi secondi, che l’agente le pone un’altra domanda:
“Era a conoscenza dell’automutilazione di Sophie?”
Il suo volto cambia espressione, e dopo qualche secondo risponde “sì, tutti ne eravamo a conoscenza.”
“Okay, fate entrare i genitori. Lei se vuole può restare.”
Lucy resta, e nel frattempo entrano i genitori che la guardano malissimo. È convinta che ce l’abbiano con lei, probabilmente perché è stata l’ultima persona a vederla. Se avesse detto di no, forse sarebbe ancora viva, secondo loro. Lucy invece pensa che se anche avesse detto di no, l’avrebbe fatto lo stesso, perché era così. Determinata per le cose sbagliate.
Si accomodano sulle sedie e si preparano psicologicamente ad ascoltare cattive notizie. L’uomo comincia a parlare:
“Quando siamo arrivati sul posto, credevamo fortemente che la morte fosse avvenuta per l’elevata dose di Arsenico ingerita. Poi però abbiamo analizzato bene il luogo, e abbiamo notato che più di metà bottiglietta era stata rovesciata a terra. L’autopsia, infatti, ha confermato la dose di veleno ingoiata, e per quella la morte è quasi impossibile. Quando l’hanno spogliata per eseguire l’autopsia, hanno trovato tagli ovunque; l’unica parte apparentemente illesa, era la pancia, che invece di essere ferita con la lama è stata ferita con dei graffi profondi, facendo comunque fuoriuscire del sangue. La cosa però che più ci ha sconvolti, è stata rovistare nelle tasche dei suoi jeans e trovare un coltellino, con una lama affilatissima. Non sappiamo dove si sia procurata quell’oggetto, ma possiamo dire che è stata l’arma con cui vostra figlia si è uccisa. È morta dissanguata.” – spiega l’uomo.
Una donna, la stessa che tendeva la mano a Lucy, continua:
“Si è distrutta fino all’ultimo. C’erano tagli ovunque, ma temiamo, anzi ne siamo sicuri, che quelli fatali siano stati eseguiti sulle braccia.”
Ora tutti sono in silenzio, nessuno ha nient’altro da aggiungere. Vanno via da quella stanza, i genitori vorrebbero dire qualcosa a Lucy, ma si trattengono quando vedono Mark raggiungerla.
John dopo aver visto il ragazzo, gli rivolge un’occhiata di compassione, e quando i due giovani sembrano lontani da occhi indiscreti, la ragazza prende la lettera dalla tasca e la tende a Mark.
“Qui c’è tutto quello che devi sapere. Te l’ha scritta Sophie. Leggila.”
“Tu l’hai letta?” – domanda Mark.
“No, non l’ho letta. Ma il pomeriggio prima del suicidio mi ha parlato di tutto.”
Lucy abbassa il capo e se ne va, con il cuore in gola. È agitata e dispiaciuta per ciò che l’amico sta per leggere, ma decide che non vuole assistere alla scena. Se ne va e Mark s’incammina fuori per sedersi sulla panchina di fronte all’edificio. La apre, ma prima di farlo legge la scritta in stampatello maiuscolo: PER MARK.
Comincia a leggere:
“Caro Mark,
se questa lettera ti è giunta, significa che ormai è troppo tardi. Non puoi salvarmi più, ora nessuno può farlo. Ci sono tante cose che non sai, sono successi episodi di cui tu non sei a conoscenza. Sono consapevole del fatto che ti sto per rovinare la vita dicendoti questo, ma è per far sì che tu possa capire come ci si sente a vivere nella menzogna.
Sei stata la persona che ha cercato di tirarmi fuori da tutta la merda che avevo accumulato intorno a me, purtroppo però non ci sei riuscito. E non voglio che ti senta in colpa o sbagliato per questo, perché tu colpa non ne hai. La vita sta iniziando a diventare difficile: sono scampata dalla morte diverse volte, ma adesso sento di non farcela. Le voci, gli odori, le visoni, sono ritornate e io non riesco a reggere la situazione. Devi sapere alcune cose. Quando abbiamo fatto l’amore, il giorno in cui mio padre ci ha sorpresi, dopo quell’accaduto mi ha chiamato in disparte; abbiamo parlato a lungo e con dei giri di parole interminabili, mi ha fatto capire che non potevamo stare insieme. Quando completamente allibita gli ho chiesto il perché di quella costrizione, mi ha risposto che siamo figli dello stesso padre. Sì Mark. Io e te siamo fratelli. Adesso non sto a spiegarti come sia successo, fallo tu, chiediglielo tu, hai il diritto di sapere, e hai il diritto di sapere da lui. Io però ho il dovere di dirti un’altra cosa, e questa volta tieniti forte. Sono incinta. Sono incinta di nostro figlio. Dopo quella specie di rapporto avuto, non ho avuto le mestruazioni, così sono andata in farmacia a prendere un test e l’ho fatto. Positivo. Sono andata da un ginecologo che mi ha confermato la notizia, ma l’idea di ospitare un bambino dentro di me mi faceva profondamente male. Non lo sopportavo, e ancora adesso non sopporto l’idea che lui o lei sia dentro di me. Ti ho tenuto fuori da tutto e ho sbagliato, ma sai io non riuscivo a parlartene. Nemmeno i miei genitori sono a conoscenza di tutto questo casino, così mi sono rivolta ad uno psicologo pubblico che a sua volta mi ha consigliato un medico pubblico e l’aborto. Volevo farlo. Poi ho conosciuto una persona, Paul, che mi ha fatto capire il rimorso che si prova nell’uccidere i propri figli. Lui non l’ha fatto, non ha ucciso nessuno, ma continua a stare male. Allora mi sono detta che una come me, con tanti rimpianti a soli sedici anni, non poteva portarsi quest’altro peso sulla coscienza. Così ho maturato l’idea di uccidere anche me, ancora una volta. Sono decisa a sparire, sperando che dopo la morte ci sia quella luce che aspetto da tanto.
Se hai voglia di piangere, non farlo. Guarda gli occhi di chi ti vuole bene e ritrova il coraggio di sorridere. Vattene da qui. Hai già il brutto ricordo di aver perso tua madre in questa città. Vattene, e la notte quando sei triste, fissa una stella e pensami. Meriti una persona migliore, non una come me al tuo fianco. Sei stato importantissimo, una delle persone più importanti di tutta la mia vita, una di quelle poche che davvero mi ha amata.
Quindi sorridi amore mio, perché siamo uniti da un legame profondissimo, un filo che non si può spezzare.
Addio Mark!
- tua Sophie.
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Il Male Dentro
Fiksi RemajaOtto ragazzi, otto storie da raccontare. Nella magica e bella Chicago, la città dei grattacieli, Mary, Christian, Sophie, Mark, Sarah, Lucy, David e Giusy, vi raccontano storie ed emozioni tipiche dell'adolescenza. Insieme si riuniscono e sfuggono a...