13.Sfoghi

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Lucy si siede più a destra, facendo spazio a Sophie sulla panchina. L'uomo le guarda dalla finestra e sorride, pensando che se la moglie fosse ancora in vita sarebbe orgoglioso di lui, in fondo ha salvato la vita di una ragazza. Erano anni che non parlava di quella storia, ricordarla gli ha sempre fatto troppo male, eppure con Sophie ha aperto il suo cuore; evidentemente voleva solo farle capire il vuoto che avrebbe lasciato ai suoi genitori se avesse fatto una simile sciocchezza. Nessuno aveva mai visto Sophie in quello stato, prima di Paul. Lei si è fidata sin da subito di lui, e ha lasciato in lei un'impronta talmente significativa, che appena andrà a casa aggiornerà il suo diario. Scriverà che quello che ha visto, è solo una persona divorata dal dolore e dal senso di colpa, un uomo che non troverà pace fin quando non morirà anch'egli. La concezione di morte di Sophie è molto positiva, come dice sempre con Giusy "la vita è un tunnel nero, e il buio ti impedisce di fare le scelte giuste, AMARE le persone giuste, comportarsi sempre nella maniera corretta. La morte è un oceano di luce, e quando stai per raggiungerla cominci a vederne uno spiraglio. La morte è salvezza." Probabilmente sta iniziando a vedere un po' di luce, altrimenti non avrebbe tentato ancora una volta il suicidio. È grata a quell'uomo, le ha salvato la vita. Le ha raccontato la sua storia più intima e le ha fatto capire che tutti i genitori amano i propri figli, anche quando non lo dimostrano. Ora si trova seduta a qualche centimetro di distanza da Lucy, sta soffrendo esattamente come lei. Le chiede una sigaretta e dopo comincia a parlare:


"Prima mi hai detto che sei distrutta, posso sapere il motivo?" - domanda lei osservando il lago e fumando con indifferenza. Anche se non lo ha mai fatto notare, ha sempre ammirato Lucy poiché l'ha sempre vista quella più simile a lei.


"Per papà, per Sarah, per me stessa ..." - risponde avvilita.


"Per tuo padre e per te stessa lo capisco, ma per Sarah no. Ti ha fatto del male, ora sei già abbastanza abbattuta per problemi tuoi, lei non deve permettersi di fare la stronza."


"La colpa è stata mia, non avrei dovuto mettermi sulla strada.''


"Tu non avevi scelta, lei sì, eppure ha continuato a fare la stronza." - questa volta Sophie le risponde con un tono arrabbiato. Non riesce a percepire il perché di tale dolore; quella ragazza le ha fatto del male e lei sta lì a torturarsi, quando non aveva scelta. Doveva fare per forza quella vita.


"Se ne vanno tutti da me. Nessuno resta. A questo punto il problema non sono gli altri, ma io."


"Chi ti ha detto che se ne vanno tutti?"


"Lo percepisco."


"Sì, forse hai ragione. Io resto però!''


Durante tutta la durata del discorso le due non si sono degnate di uno sguardo, fumavano guardando il laghetto. Sui loro capi si sono formate nuvole di fumo, causate dal fatto che per loro fumare sembrerebbe costituire una sorta di antistress, e nessuno vedendole in quello stato e con quell'enorme puzza sui vestiti e sulla loro pelle, si avvicinerebbe o chiederebbe loro di fare un po' di spazio per sedersi. La mano di Lucy, priva di smalto e di qualsiasi anello, si avvicina a quella di Sophie, sfiorandola appena, quasi come a chiederle il permesso di poterla avere tra la sua. D'altra parte a quel tocco la ragazza rabbrividisce e le afferra la mano, accogliendo di buon grado l'intenzione di Lucy. Ora le loro mani sono strette l'una nell'altra, ma non è un semplice gesto, è molto di più. Quelle mani incrociate stanno a significare "io ci sono, puoi dirmi tutto. Siamo io e te, legate da un'amicizia senza confini." Lucy senza farsene accorgere guarda per qualche secondo le loro mani, Sophie fa finta di nulla, ma l'ha vista. E mentre sono perse nei loro pensieri, colte dal desiderio di dire entrambe qualcosa, Sophie rompe il silenzio:


"Ti voglio bene Lucy."


L'altra presa alla sprovvista non crede alle sue orecchie, e senza pensarci un secondo di più, risponde: "anche io Sophie." Adesso si guardano, si fidano l'una dell'altra, e quando i loro sguardi sembrano sostituire ogni parola, Lucy si alza e propone all'altra di isolarsi dal mondo intero. Accettata la proposta, si incamminano verso una collinetta abbandonata da tutti. Non ci sono abitazioni né persone. Sono solo loro due. Finite le sigarette non possono fare altro che chiacchierare, e così Lucy con lo sguardo rivolto verso il cielo, chiede a Sophie cosa significhi per lei tagliarsi. Non fa in tempo a rispondere che l'altra si alza la maglietta: la sua pancia è ricoperta da numerose bruciature. Sophie è spaventatissima e chiede spiegazioni.


"Sono bruciature di sigarette. Le spengo su di me. La vedi questa cicatrice?" - spiega Lucy mostrandole una cicatrice sotto alcune treccine. Quella se l'era procurata sbattendo più volte la testa sulla scrivania di legno della sua cameretta. È un modo per stare meglio, spiega a Sophie. È una forma di autolesionismo più pesante, ricorrere a bruciature. Lo pratica da quando è morto suo padre, dice che la fa stare meglio. Sophie la capisce, anche se non si è mai auto lesionata procurandosi bruciature. Sulla pancia, continua a spiegare Lucy, non può vederle nessuno, non ci tiene a mostrarle perché non vuole che lo scoprano. Detta questa frase esorta Sophie a tenere la bocca chiusa e a non dire nulla, approfittando della situazione Sophie comincia a parlare:


"Stanotte sono scappata di casa. Sono andata di nascosto al parco e ho provato ad uccidermi. Un uomo, Paul, mi ha salvata. Il guardiano del parco si è accorto di me e mi ha medicato le ferite auto inflitte, capisci? È l'unico adulto che mi ha ascoltato davvero, io non lo conoscevo nemmeno. Mi ha fatto stare meglio e mi ha prestato dei vestiti, che stamattina gli ho riportato."


"Cosa? Dimmi che non è vero ... "


"Purtroppo è tutto vero, mi dispiace."


"Non lasciarmi anche tu, ti prego."


Lucy la scongiura, le lacrime hanno iniziato di nuovo a farsi notare. Adesso sono in due a piangere. Sono sedute entrambe sul prato della collinetta, Sophie ha tra le braccia Lucy quasi come fosse una bambina da proteggere. Ha il cuore in gola, non sopporta il fatto che lei si faccia del male.


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