13: Non me ne vado

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POV. Ashton
Quella notte mi sentii a dir poco..confuso? Si poteva dire cosi?
Sapevo fin dalla prima volta che avevo visto Michael che c'era qualcosa di strano in lui, ma non credevo di certo questo.
Per non parlare poi della facilità e la velocità con cui Calum aveva scassinato e acceso quella macchina; era strano, era come se l'avesse già fatto.
Mi rigirai per la centesima volta in quel piccolo letto, strattonando tutte le coperte da un lato.
Sbuffai e cercai dì rimetterle a posto, ma invano.
<<La vuoi smettere di rigirarti in quel letto come un verme? Ti stai un po' fermo? Voglio dormire>> sbuffò Calum, alterato dalla situazione.
<<Si può sapere come hai fatto?>> la faccia di Calum assunse un'espressione alquanto interrogativa, cosi corressi la frase.
<<Intendo, come hai fatto a scassinare la macchina con tutta questa facilità?>> i suoi muscoli si irrigidirono per un attimo, era arrabbiato.
<<È questo che ti tiene sveglio? Perché non ti fai gli affari tuoi eh?>> nonostante la sua espressione dura e le sue parole, riuscivo a sentire la sua voce tremare.
<<Andiamo, sai che ti puoi fidare>> cercai di rassicurarlo.
Si guardò in giro, dopodiché si mise seduto e io lo imitai.
<<Io ti ho detto che mio padre se n'era andato quando avevo circa sei anni, giusto?>> la sua voce tremava, quasi quanto le sue mani.
<<Si>> la cosa non mi piaceva, non mi piaceva affatto.
<<Quando ero piccolo lui era appassionato di macchine, gli piaceva smontare il motore e modificarlo, oppure farci un giro, e volte portava me con lui, oppure mi insegnava qualcosa>> sorrideva in quel momento, ma era un sorriso triste, che mi fece quasi pena.
<<Solo che molte volte le macchine non erano sue>> si passò una mano su tutta la faccia e fece un lungo respiro.
<<Io lo aiutavo, capisci? Io rubavo le macchine con lui e poi gente innocente veniva accusata al posto nostro, capisci?>> una lacrima stava solcando la sua guancia, ma la asciugò velocemente, credendo forse che io non l'avevo vista.
<<Non devi sentirti in colpa, eri piccolo e non sapevi cosa stava succedendo. Non devi darti la colpa di queste cose solo perché tuo padre era un ladro. Non è una colpa nascere da genitori difficili>> lui alzò gli occhi verso di me.
<<Quest'ultima frase a chi è rivolta? A me o a te stesso?>>
Probabilmente a me stesso.
<<Andiamo a dormire è tardi>> mi misi velocemente sotto le coperte per cambiare discorso.
<<Non hai risposto>> non volevo andare avanti con la conversazione, sarei scoppiato in lacrime.
Lo sentii uscire dal letto e avvicinarsi al mio.
<<Lo sai che anche tu puoi parlare di tutto con me vero? Proprio come ai vecchi tempi>>.
Gia, i vecchi tempi, quando eravamo ancora alla medie, circa quattro o cinque anni fa.
Ancora non picchiava Luke ma non gli era mai stato simpatico neanche allora e la stessa cosa valeva per Luke stesso. Non voleva che io vedessi Calum, ma noi trovavamo sempre il modo per incontrarci. Non facevamo niente di speciale, più che altro io ascoltavo Calum mentre si sfogava. Lo consideravo un vero e proprio compito, ed era cosi. Lui ne aveva proprio bisogno.

La verità sul padre di Calum era che quando se ne era andato aveva portato via con se quasi tutti i soldi che con il tempo avevano risparmiato con fatica ed erano rimasti praticamente al verde. Sua madre faceva gli straordinari per arrivare a fine mese e quando tornava a casa, versava il suo stress su Calum. Non lo picchiava, ma le parole bastavano, e di certo lui non si faceva amare. A scuola non andava bene, non che non avesse voglia, ma nessuno lo seguiva e lo aiutava. Così io e lui spesso ci trovavamo al parco per studiare e lui a volte si sfogava con me.
Ero la cosa più vicina ad un vero amico che lui avesse mai avuto.
Con l'arrivo delle superiori lui cambiò, rimanemmo sempre in contatto ma quando iniziò a picchiare mio fratello qualcosa tra di noi si ruppe. Nonostante ciò, non l'avevo mai abbandonato; non so cosa mi teneva legato a lui, forse la certezza che prima o poi avrei potuto cambiarlo.
<<Lo sai vero?>> mi ero dimenticato che lui era ancora da parte a me in attesa di una risposta.
<<Perché picchiavi Luke?>> non lo stavo guardando, ma scommettevo che la sua espressione era la tipica espressione da duro, ma con gli occhi bassi, che contenevano tanto dolore.
<<Io..io>> cercò di trovare una risposta valida, ma gli uscì solo qualche balbettio. Lo guardai, e vidi che era in difficoltà. Non era possibile, forse..
<<Avevi paura?>> alle mie parole si irrigidì di colpo.
<<Ma che dici, io non ho paura>> e detto ciò se ne tornò nel letto.
<<Lo sai  che stai mentendo solo a te stesso, vero? >> sapevo che stava ancora ascoltando.
<<Si, ma per ora preferisco che sia cosi, ancora per un po'>> non so cosa mi fossi aspettato di sentirmi dire, ma la verità era che lui non era ancora pronto ad aprirsi con me.
<<Prenditi il tuo tempo, non ti obbligo a dire le cose se non vuoi parlare. Io aspetterò, non me ne vado>> aspetterò anche tutta la vita.

POV. Luke
Appena entrai dalla finestra della mia camera mi fiondai sul letto di fianco ad essa e mi addormentai quasi subito.
Quando mi svegliai non ebbi il tempo di alzarmi dal letto che Michael si precipitò nella stanza.
<<Svegliati è tardi. Mia mamma è andata prima al lavoro e io mi sono dimenticato che dovevamo andare a scuola a piedi, quindi siamo in ritardo>> sentendo ciò mi alzai dal letto ma mi accorsi troppo tardi di essere ancora vestito come ieri sera.
<<Cos'è vai a dormire vestito ora?>> mi chiese con un sorriso beffardo.
<<Ieri sera ero davvero stanco>> ma la mia risposta non sembrò importargli, infatti uscì poco dopo dalla stanza.

Dopo cinque minuti stavamo già camminando a passo veloce verso la scuola. L'aria tra noi due era tesa, ed eravamo in evidente imbarazzo.
<<Che lavoro fa tua madre>> gli chiesi per rompere il ghiaccio.
<<L'infermiera. Lei crede che non me ne sia accorto che sta facendo gli straordinari ma io l'ho scoperto e un po' mi spiace di non poter contribuire. Tua madre invece?>>

Quindi è per questo che corre? Per aiutare sua madre? Ma lei sa tutto ciò?
Un sacco di domande si sovrapposero nella mia mente ma io mi affrettai a rispondere.
<<Lei lavora in un'azienda tessile>> dissi solamente.
<<Hai fratelli oltre ad Ashton?>> chiese lui.
Cos'era tutta questa gentilezza da parte sua?
<<Si due. Uno è io più grande e lavora già, si chiama Jacob. L'altra è una ragazza e non la sopporto, si chiama Kimberly..è davvero una troia>> constatai sussurrando l'ultima frase e lui rise appena alla mia battuta finale.
<<Magari potresti farmela conoscere>> rispose scherzando.
<<Neanche morto>> asserii avvertendo una strana sensazione al petto.
Poco dopo arrivammo alla scuola e subito dopo essere entrati in classe, io e Michael ci comportammo di nuovo come due estranei, come se non ci conoscessimo.
Proprio non lo riuscivo a capire.

Can you feel my heart? ❁  MUKEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora