Chapter seven

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Federico PDV

"Ti capisco" dissi ad Eireen borbottando, ed era vero, la capivo, forse più di chiunque altro in quella stanza.

Mi ero trasferito in Inghilterra da poco, ed in Italia, dove ero nato e cresciuto, frequentavo il liceo scientifico, una vera tortura.
Odiavo la matematica, e praticamente lì c'era solo quello.

In realtà, io volevo frequentare il liceo artistico. Il liceo artistico di Brera, precisamente.
L'arte mi affascinava, ma mio padre era contrario, e non di poco.

Diceva sempre che l'arte non mi avrebbe portato a niente nella vita, come se lui fosse arrivato a tanto,
diceva sempre che era una perdita di tempo, come se il suo tempo lo spendesse bene,
diceva sempre che gli artisti fanno successo, solo una volta morti, non pensando che forse, io; lo ero già.

Mia madre invece, pensava che io disegnassi benissimo. Andava a vedere ogni mio disegno esposto nella scuola, sia alle elementari che alle medie, non si perdeva mai un'occasione per vedere quanto, a parole sue, fossi bravo, disdiceva ogni appuntamento avesse o commissione dovesse fare, se in quel giorno c'era una mostra, a meno che non fosse tremendamente importante, e in quelle poche volte in cui non poteva disdire per nessuna ragione al mondo, e di conseguenza non poteva venire, io le dicevo che andava tutto bene. Sapevo che lei c'era sempre per me, e ci sarebbe sempre stata, questa era la mia unica certezza nella vita;
mia madre.
L'unica ancora, l'unica costante.

Voleva vedere ogni mia "opera" , così le chiamava, ed io ridevo, perché nonostante quelle parole mi lusingassero, i miei scarabocchi non erano nemmeno lontanamente degne di quell'appellativo.
Opere erano quelle di Vincent van Gogh, Claude- Oscar Monet, Edvard Munch, Michelangelo, e caspita, potrei andare avanti così all'infinito.

Non so perché ci stessi pensando in quel momento, ma mi venne in mente un fatto accaduto un po' di tempo fa, che solo a sfiorarlo mi fece comparire subito un sorriso a trentadue denti; un giorno, mi ritrovai a dipingere su tela, ero frustrato e dipingere mi rilassava.
Mi immersi così profondamente nella pittura e nelle note di Comptine d'Un Autre Été a tutto volume che si spargevano per tutta la stanza, alle quali si susseguivano le parole di Cat Stevens nella canzone "Wild World", anche se io preferivo di gran lunga la versione della serie TV "Skins",  e tutte le altre che facevano parte della playlist soprannominata "quando vuoi sparire dal mondo", che, non mi accorsi di essere sporco di pittura un po' ovunque; sulla fronte, sul naso, sulle guancia, le dita, le braccia, e tanto meno mi accorsi di mia madre appoggiata sul ciglio della porta a guardarmi sorridente, da chissà quanto.

≪ Tu non fai arte, tu sei l'arte ≫ disse all'improvviso, facendomi inizialmente sobbalzare dato che non mi ero accorto della sua presenza, e solo dopo vari secondi realizzai ciò che mi disse, arrossendo leggermente, lusingato dalle sue dolci parole, pronunciate quasi fosse un sussurro, un sussurro capace di arrivare non solo alle orecchie, ma anche all'anima.
Alla vista della mia reazione, sorrise dolcemente, scaldandomi il cuore, prima di andarsene.

Avevo diciassette anni, ero il classico studente che studiava a sufficienza e a fine anno cercava di alzare la media dei voti richiudendosi in casa a studiare, maledicendosi di non averci pensato prima.
Non avevo molti amici, ma quello non fu mai un problema particolare, mi bastava la pittura e vedere mia madre felice, anche se quel dannato uomo al suo fianco, non glielo permetteva, le tappava le ali continuamente, la soffocava, e Dio quante volte avrei voluto riuscire a fare di più per lei.

Per quella donna che si meritava tutto l'amore e la felicità del mondo.
La mia; donna.

Quell'uomo così duro, freddo, distaccato, dagli occhi di ghiaccio e dall'anima color pece, soffocava anche me, impedendomi di essere ciò che mi sentivo di essere, ciò che volevo essere;
me.

Fragili come petali di rugiadaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora