Upset

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Sono assolutamente fiera di me stessa. Non so da dove sia arrivata la frase che ho rivolto a Zack, ma... "Sei stata una bomba!" Jennifer è estasiata quanto me dall'accaduto. Nonostante il mio ego sia ormai smisurato, covo nel mio animo un nervoso trepidante che, solo a pensarci, mi toglie il respiro. Sono passati tre giorni dal mio ultimo incontro con il capo e sono contenta di aver mantenuto le distanze e di non aver scontrato il mio sguardo con quegli occhi di ghiaccio. Zack Evans sta sfidando i limiti della mia sopportazione; adesso basta. Mi concentrerò solo sul lavoro, manterrò le distanze e ci comporteremo da colleghi quali siamo. "Ehilà? C'è nessuno in casa? Terra chiama Ellie" Riscossa dai miei pensieri, sento Jennifer scuotermi. "C-cosa dicevi?" Mi guarda allibita. "Ma come? Non senti Alex? Sta strillando come un pazzo da due minuti buoni". Come se fossi stata sorda fino a questo momento, il pianto di mio figlio mi trafigge i timpani; mi alzo di scatto dalla sedia per correre a prenderlo in braccio e cercare di tranquillizzarlo. "Sshh amore, va tutto bene". La mia amica ci raggiunge in sala e osserva preoccupata la scena. "Ellie, cosa è successo?" "Non ne ho idea, sicuramente non è caduto perché era seduto sul divano." Dopo una ventina di minuti riesco a tranquillizzarlo e lo lascio alle amorevoli cure di Kim. "Senza di te non so come farei" la ringrazio. "Figurati Ellie, sai che per me è come un fratello ormai. Ora tu e Jennifer dovreste andare, altrimenti farete tardi al lavoro". Osserviamo l'orologio sulla parete, e in effetti, la ragazza non ha tutti i torti. Lascio un veloce bacio sulla fronte del bambino che sta dormendo tranquillamente ed esco dall'appartamento.

"Wilson, dieci minuti di ritardo". Questa è la meravigliosa accoglienza che mi riserva il capo, il quale mentre solitamente è occupato durante l'orario del mio ingresso, oggi pare una sentinella posta esattamente accanto alla porta del mio ufficio. "Mi scusi, ho avuto un'emergenza, non si ripeterà più". Non abbasso il capo, ma non lascio che i nostri sguardi si incontrino. "Me lo auguro. Ora andiamo nel mio studio, c'è del lavoro da fare". Freddi e professionali, come è giusto che sia. Mentre lo seguo nel corridoio, mi spiega come è stata organizzata la giornata lavorativa. "Alle ore sedici ci sarà una riunione con il comitato interno per discutere di affari, naturalmente tu dovrai essere presente". "Non avete ancora trovato una cameriera?" mi lascio sfuggire, ricordando l'episodio di qualche settimana prima. Stupida boccaccia. Distacco e serietà, eh? "No. Questa volta dovrai stare seduta e prendere appunti. E se ti è possibile, evita di parlare a sproposito". Appena l'ho visto, poco fa, sembrava avesse qualcosa di diverso, i suoi occhi sembravano diversi. Non so esattamente definire ciò che mi è apparso, ma probabilmente me lo sono solo immaginata. Non posso negare che mi sarebbe piaciuto sapere i suoi pensieri dopo le mie ultime parole di quella sera; avrei desiderato osservare la sua espressione e leggere l'effetto che avevo provocato; sarei stata curiosa di capire se la mia frase avesse colpito nel segno e fosse arrivata dove volevo che arrivasse. Ma nella vita ho imparato che non ha senso dedicarsi alla costruzione di troppe aspettative, perché queste paiono solo dei castelli di sabbia che, alla prima folata di vento, vengono spazzati via. Per questo motivo, ho soppresso ogni mia curiosità e ogni mio desiderio, per lasciar spazio al mio lavoro ed evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento. "Wilson? Mi stai ascoltando?" Oh no, di nuovo. Devo smetterla di distrarmi mentre la gente mi parla, altrimenti mi prenderanno per una psicopatica. "Ehm...si, certo". Non mi sono neanche accorta di essere arrivata nel suo ufficio e di essermi seduta da tanto che ero persa nei meandri del mio subconscio. Rilascia un sospiro frustrato e poggia la schiena sulla poltrona, la sua aria da duro viene rimpiazzata da... non so cosa sia con precisione, ma ora, visti dall'esterno, sembriamo due amici che stanno per affrontare una conversazione dall'argomento spinoso e ciò non mi piace. "Senti. Se è per l'altra sera, dimentichiamocela. Non voglio che interferisca con il nostro rapporto lavorativo. Ho bisogno di collaboratori concentrati sugli obiettivi dell'azienda e non sulla vita privata. Adesso ti ripeterò ciò che ho detto, ma vedi di prestare attenzione e sappi che la prossima volta non sarò così magnanimo. In questo lavoro il tempo è particolarmente prezioso e io non posso permettermi di perdere neanche un secondo. Chiaro?" Le sue parole sono acuminate come spilli e sembrano quasi lasciarmi senza respiro, nonostante questo, il suo tono è carezzevole come forse non l'avevo mai sentito. L'espressione non è contrassegnata da cipigli, ma piuttosto la definirei stanca. Sono proprio queste due ultime considerazioni a spingere la mia voce ad uscire, bassa ma ben scandita: "Chiaro".

Circa un'ora dopo sto compilando scartoffie, decisa a non distrarmi con inutili ragionamenti e il mio piano sembra funzionare fino all'ora di pranzo quando chiamo Kim per avere notizie su Alex. "Andiamo Kim, rispondi." "Ci sono problemi?" Jennifer si accomoda accanto a me. "Kim non è raggiungibile" spiego sconsolata. "Sta tranquilla, magari si sta occupando di Alex e non ha tempo, ti richiamerà lei" mi posa gentilmente una mano sulla spalla per tranquillizzarmi. "Lo spero". Sospiro senza riuscire a darmi pace. Ho una brutta sensazione. "Ellie, vai alla riunione?" Rispondo affermativamente a Matt. "Tu non ci vieni?" "Non questa volta, devo sbrigare delle commissioni come vice". Peccato, mi avrebbe fatto piacere avere una spalla, anche se considerando com'è andata la volta scorsa, non sarebbe stato molto d'aiuto. "Sarà meglio tornare dai miei documenti, altrimenti non riuscirò a terminare prima delle quattro". Riprendo il mio lavoro e nonostante il mio sesto senso mi spinga a richiamare Kim ogni cinque minuti, non gli do peso e per l'ora del meeting sono in sala riunioni a prendere posto prima di tutti gli altri colleghi. "Wilson, recuperi i dieci minuti persi questa mattina?" No, un momento. Io finalmente mi decido a non dargli più corda, nella buona, ma soprattutto, cattiva sorte e lui cosa fa? Arriva con un sorriso smagliante e si mette a scherzare amorevolmente. Con me poi. "Mi piace essere diligente" rispondo a tono. Avrei potuto fare un semplice cenno e starmene zitta, ma non sia mai che io non mi faccia valere. Quando i soci iniziano a fare il loro ingresso nella sala, noto il Signor Hamilton, che mi rivolge subito un saluto, senza sbilanciarsi troppo, e si accomoda non molto distante da me. La riunione finalmente inizia e comincio a prendere appunti. Questi uomini parlano davvero troppo velocemente e riuscire a seguire ogni discorso mi risulta piuttosto complesso. Improvvisamente sento vibrare il mio telefono, posto nella borsetta ai miei piedi. Fortunatamente sono tutti talmente impegnati a discutere, da non accorgersene; osservo furtivamente Zack, il quale sta intrattenendo un acceso dibattito così da permettermi di dare un'occhiata. È Kim, ma non posso risponderle dal momento in cui sento chiamare il mio nome. Riporto l'attenzione sulle mie note e cerco di ignorare l'insistente rumore emesso dal mio telefono. "Va bene signori, possiamo fare una pausa". Alle parole tanto attese del capo, tutti si alzano per recarsi ai servizi o a comprare un caffè, io invece resto dove sono e chiamo immediatamente Kim che sembra impiegare un'eternità per rispondere. "Scusa ero in riunione, dimmi tutto". "Ellie, sono al pronto soccorso, si tratta di Alex". Sussurro tremante il nome di mio figlio, come a voler metabolizzare ciò che ho appena sentito. La voce...preoccupata di Zack arriva ovattata alle mie orecchie, queste maledette scarpe rallentano solo la mia corsa e non mi accorgo neanche di averle in mano e non più ai piedi, le mie spalle si scontrano con alcuni soci, ma non c'è tempo, non c'è dolore, non c'è nulla. Se non la mia folle corsa contro l'ignoto.

ZACK'S POV

"Alex" sussurra. Il suo volto è estremamente pallido e temo possa svenire da un momento all'altro. "Ellie, stai..." non faccio il tempo a terminare la frase perché la vedo alzarsi e correre via come un fulmine. Non capisco cosa stia succedendo, il mio istinto mi dice di inseguirla, ma la parte più razionale di me, mi ricorda i miei obblighi verso il mio lavoro e mi porta alla conclusione che in effetti non ho alcun diritto di immischiarmi nella sua vita.

Il meeting finalmente termina e rimasto ormai solo nella sala, posso dedicarmi ai miei pensieri. Mi sembrava di aver sentito "Pronto soccorso", ma non ne sono sicuro. Poi chi sarà questo Alex? Magari il suo ragazzo. Sicuramente quando tornerà al lavoro, mi dovrà delle spiegazioni.

Tre giorni dopo

Quando tornerà mi dovrà delle spiegazioni? Sarebbestato più esatto dire SE tornerà. Sono ormai tre giorni che di Ellie Wilson non sihanno notizie. Neppure Jennifer riesce a contattarla, nonostante continui a provarci. Come capo è mio dovere informarmi se i miei dipendenti non si presentano al lavoro per un periodo di tempo prolungato e immotivato; per questo motivo, ho deciso di recarmi al St. Regis per avere sue notizie. Dalla sera di quasi una settimana fa, non faccio altro che rimuginare sulle sue parole che, devo ammettere, mi hanno scosso nel profondo. I primi giorni addirittura, mi sembrava di sentire nei miei sogni la sua voce che ripeteva quella fatidica frase. Le ero davvero grato per aver ritrovato il mio prezioso anello, ma il momento successivo è stato particolarmente intenso e non ho avuto il tempo di capire né come avesse fatto a ritrovare l'oggetto perduto, né da dove fossero arrivate quelle parole così vere, ma allo stesso tempo pregne di una certa nostalgia e sofferenza. Forse dopo questa mia visita a casa sua,potrò saperne di più.

~N/A~
Buonasera adorate lettrici! Ecco il nuovo capitolo, che speriamo davvero vi piaccia. Vi ringraziamo per tutto e non smetteremo mai di farlo, infine vi invitiamo come sempre ad aggiungere la storia su Facebook e Twitter tramite i links nella nostra bio. Un bacione 💕

When Love Takes OverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora