24. L'intraprendenza

49 4 0
                                    

"Ti immagini se ci fosse davvero un'epidemia zombi?"
Pensai alla sua domanda.
"Sarebbe strano."
Finn ridacchiò.
"Strano non è il primo aggettivo che mi passa per la testa."
Sorrisi anche io mentre l'ennesima persona veniva morsa ed infettata.
"Sarebbe strano perché molti dei nostri agi andrebbero persi. Però in alcune persone vivono già come zombi. Anche noi alle volte lo facciamo. Ci svegliamo, ci trasciniamo a lavoro, completamente soli e senza sapere chi ci passa accanto. Pensiamo solo a sopravvivere."
Percepii che stava sorridendo ancora incuriosito dalla mia risposta.
"Già. Io mi immaginavo di essere uno dei sopravvissuti, non uno degli zombi."
Sorrisi anche io di rimando.
"Non ho mai valutato l'ipotesi. Corro piano, sono scoordinata e ho un fratello particolare. Sarei la prima a morire."
"Non ti lascerei morire."
Affermò allora Finn gonfiando il petto orgoglioso. Poi allungò la mano e prese la mia.
Ero ancora colpita dalla naturalezza dei suoi contatti fisici ma la strinsi senza pensarci troppo.
"In Germania ho conosciuto un signore fissato con la sopravvivenza. Aveva un bunker pronto in caso di epidemie varie. Lui potrebbe sopravvivere."
"E tu hai visto questo bunker?"
Mi tirai su per guardarlo mentre parlavamo non curanti del film che continuava a scorrere.
"Certo che no. Non ero sicura che lo avesse davvero o che fosse un manico che portava le sue vittime sotto terra per ucciderle. Ho preferito non indagare."
Rise scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi.
Finn rideva sempre e lo faceva con tutto il corpo.
Muoveva le spalle, il petto e la mimica facciale cambiava totalmente.
Esprimeva felicità.
"Sei molto saggia e sai cavartela da sola."
"Per forza."
Aggiunsi alzando le spalle.
"Ho sempre dovuto cavarmela da sola. La mia famiglia era.. Incasinata peggio di Eyvar."
Ridacchiai notando che si rattristava quando ne parlavamo.
Anche la sua era un bel casino e certe cose erano difficili da condividere.
"Ti manca viaggiare?" mi chiese cambiando argomento.
"Alle volte. Mi piace vedere posti nuovi e stare in movimento. Ma in questi anni non ho mai avuto un luogo da poter chiamare casa. Mi sentivo bene solo in viaggio."
"E ora?"
"Ora mi sento bene qui. Sento di non aver bisogno di fuggire. Di non dover cercare la felicità in ogni angolo del mondo ma di poterla costruire qui."
Finn si lasciò cadere la testa sui cuscini e sorrise beatamente.
"Bhè?"
Domandai io perplessa.
"Faccio questo effetto a tutti. Vicino a me non vuole più andarsene nessuno."
Fu il mio turno di ridere.
"Da dove esce questa super ego che ti ritrovi? Sei strafottente."
Continuò a sorridere ad occhi chiusi accettando il mio gioco.
"A te piace viaggiare?"
Gli chiesi allora all'improvviso rendendomi conto di non sapere tante cose su di lui
Annuì.
"Molto. Viaggiare mi ha permesso di vivere vite diverse e di appassionarmi all'hockey. Non so dove sarei altrimenti."
"Spiega."
Lo spronai io incrociando le gambe.
Scosse la testa lasciandomi incredula.
"Come no! Certo che sì! Voglio conoscere i tuoi segreti."
Aprì un occhio per osservarmi e poi scosse di nuovo la testa ricevendo un cuscino sul viso.
"Che stronza!"
Me lo ritirò e poi mi afferrò per la vita per tirarmi più vicino a lui.
Mi stesi al suo fianco posando una mano sulla sua pancia muscolosa.
"Se mi guardi non riesco."
"Non ti guardo."
Promisi.
"Allora, che dire.."
Ridacchiò.
"Ero un ragazzino colmo di rabbia. Credo di avertelo già detto."
"Sì."
Risposi serenamente pensando che era una cosa del tutto normale.
"Non ti ho spiegato quanto fosse distruttiva la mia rabbia. Ero un uragano, investito ogni cosa che avevo intorno. Combinavo solo guai, ero aggressivo, un bullo oserei dire. Mia madre era morta, mio fratello frequentava Milo. La mia strada era sicuramente diretta nella direzione sbagliata."
Rimasi in silenzio dandogli il tempo di proseguire.
"Mio padre.."
Si grattò la fronte e io mi irrigidii. Era evidente che non c'era un buon rapporto.
"Io odio mio padre. Non ho nessun ricordo felice con lui. Mio padre pretendeva e basta da noi. Non eravamo mai abbastanza bravi, abbastanza uomini, abbastanza indipendenti o intelligenti. Ero severo fino al vomito e nonostante fosse poco presente, quel poco era abbastanza per caricarmi ancora di più di rabbia."
Provai a girarmi ma Finn me lo impedì.
"Siamo arrivati a scontrarci fisicamente. Ero io che alzavo le mani per primo. Per spingerlo, per allontanarlo.. Sarei arrivato a prenderlo a pugni. Mio padre era intimorito e non riusciva a controllarmi. Più imponeva rigore, più io.."
Scosse la testa.
"Mi ha spedito all'estero perché non aveva le forze fisiche e mentali per aiutarmi e non sapendolo mi ha fatto il miglior regalo della vita. Ho conosciuto l'hockey, gli allenamenti, la costanza. Ho capito che potevo fare qualcosa di buono, che non era finito tutto con la morte di mamma. Ho iniziato ad impegnarmi in qualcosa che mi faceva bene, a tenermi lontano dalle brutte strade. Ho imparato a gestire la rabbia che è sempre presente."
Gli accarezzai l'avambraccio mentre parlava.
"Ti senti ancora arrabbiato?"
Ci pensò un attimo.
"Da morire. Sono arrabbiato in un modo che non so spiegartelo. Sono una miccia pronta ad esplodere ma ora riesco a non accenderla. Ho imparato ad inibire i miei istinti. Ora penso a dove voglio arrivare e non agisco più."
Pensai un istante alle sue parole.
"Ti spaventa quello che ti sto dicendo?"
Scossi la testa.
"Mi spaventa che tuo padre è qui."
Non rispose.
Spaventava anche lui.
"Riesci a gestire questa cosa?"
Incalzai io colma di preoccupazione.
Mi posò un bacio fra i capelli.
"Non preoccuparti."
Mi divincolai per sfuggire alla sua presa.
"Certo che mi preoccupo!"
Lo guardai in viso e un sorriso furbo comparve sul suo volto.
"Pensavo di non piacerti."
Gli feci una smorfia.
"Non molto in realtà ma sono una sanitaria, ho lo spirito da crocerossina nel corpo. Dimmi se riesci a gestirlo!"
Ordinai autoritaria.
Finn alzò le spalle.
"Sì. So che carriera voglio e so come non mandarla all'aria. Mi pesa che sia qui ma se ne andrà presto. Devo solo resistere, vederlo il meno possibile e non farmi scalfire dalle sue parole."
Sbuffai.
"Sembra difficile."
"Impegnativo."
Lo guardai ma evitava accuratamente il mio contatto visivo.
"Che ha da lamentarsi? Stai facendo carriera. Sei una bella persona. Che altro potrebbe volere?"
Finn allungò una mano ed iniziò ad accarezzarmi la gamba nuda.
"Hai la pelle morbida."
Cambiò argomento lui.
"Bel tentativo."
"E dei bei occhi."
Banalizzò il tutto per farmi capire che non reggeva più l'argomento.
"Sono tutta bella."
Gli feci notare mettendo le mani sotto al mento per mettere in evidenza il mio viso.
"Hai ragione. Ora che ci faccio caso non sei così male."
Risi della sua battuta.
"Due spanne sopra di te."
Mi mostrò i denti bianchi in una risata nervosa. Quell'argomento lo aveva toccato parecchio e ora doveva abbassare un poco i pensieri e probabilmente la rabbia.
"E non hai ancora visto i miei piedi."
"Vediamo!"
Chiese tirando su la testa di scatto.
"I miei clienti pagano per vederli."
Mi guardò sbalordito.
"Non dirmi. Sei una furba allora."
Risi imbarazzata.
"Sto scherzando. Non credere che venda davvero foto dei miei piedi. Non le comprerebbe nessuno."
"Fammi giudicare. Potrei essere il tuo primo acquirente."
Mi sfilò un calzino e afferrandomi la caviglia alzo il piede per osservarlo da vicino.
"Potremmo farci dei soldi con questo."
Ritrassi il piede in imbarazzo.
Finn mi spiazzava sempre per la sua naturalezza in ogni circostanza.
"Allora domani aprirò un profilo."
Fece una smorfia.
"Non dirmi che saresti geloso."
Un sorriso furbo si fece largo sopra al suo mento rivelando due fossette simpatiche.
"Cazzo, sì. Credo che lo sarei."
Risi di nuovo guardandolo per capire se stesse scherzando o meno.
"I piedi sono troppo intimi. Non vorrei mai che un sessantenne qualsiasi attaccasse la tua stampa in camera."
Feci una smorfia inorridita.
"Terribile!"
Constatai senza perdere il buon umore.
"Solo se ti può rendere milionaria, altrimenti non ne vale la pena. È come seguire un uomo fissato con i virus in un bunker."
Scossi la testa.
"Non è la stessa cosa!"
Fu il suo turno di ridere.
"No, non proprio ma in ogni caso.."
Strinse le labbra contrariato.
"Non sono una persona così intraprendente. Sono malfidente verso tutti. Non credo che riuscirei a farlo, andrei in paranoia pensando a chi comprerebbe le mie foto e a cosa potrebbero servirgli."
"Indovina un po'?"
Mi chiese lui facendomi fare una faccia disgustata.
Finn mi prese di nuovo la mano ed iniziò a giocare con il mio anello.
"Sbagli. Dovresti lanciarti di più nelle cose. Pensare a te stessa, a ciò che vuoi e farti meno intimorire dagli altri. Buttarti un poco di più. Fai qualcosa di spericolato."
"Ho pattinato in una pista chiusa una volta. Sono quasi stata arrestata."
Finn scosse la testa.
"Ma smettila. E poi, lo hai fatto perché c'ero io. Non hai preso tu l'iniziativa. Puoi provare a farlo, qualche volta."
Ci pensai un attimo.
"Cosa dovrei fare secondo te? Mi stai spingendo ad aprire un profilo per vendere i piedi?"
"Proprio così!"
Rispose tirandomi una guancia.
"Dormi qui questa notte?"
Domandai sputando quelle parole che avevo in bocca da un po' di tempo.
Finn mi guardò sbalordito.
Io feci un sorriso imbarazzato.
"Sto provando ad essere più intraprendente, me lo ha consigliato un amico."

Just breatheDove le storie prendono vita. Scoprilo ora