Abigail

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Soffio lievemente sull'unghia del pollice della mano sinistra che ho colorato con lo smalto verde. Agito la mano e poi la poggio a palmo aperto di fianco al libro di matematica. Sono ferma su questo esercizio da mezz'ora.

Rifaccio i calcoli, sbianchetto un paio di zeri di troppo e osservo il risultato: il libro dice che dovrebbe venire 2. A me viene 0,9438438339. Pazienza, ha sbagliato il libro.

Sospiro, rannicchiandomi sulla sedia e mi mordicchio il labbro inferiore, nervosa. Guardo il mio quaderno da scrittura poggiato di fianco a quello degli esercizi di matematica, lo apro e contemplo frustrata la pagina bianca: il blocco dello scrittore.

"C'era un quartiere nei bassifondi di Baltimora in cui incappavo spesso dopo la morte di Virginia" mi dice l'uomo; seduto sul bordo del letto, stende le gambe e poggia i piedi sulla sedia lì vicino, poi prosegue, "era sporco, misero, pieno di gente malata e di case fatiscenti affastellate l'una sull'altra. Soprattutto odiavo una casa, per meglio dire un rifugio, tra tutte quante. Le assi cadevano e il tetto aveva un buco grande quanto un oculo di una nave. E l'odore che emanava, poi... Perché non ho mai scritto su una casa del genere? Sarebbe stato un racconto perfetto. Ah, ora ci sono!" esclama, "Posti del genere ti tolgono le energie, ti svuotano."

"Già, come questo appartamento" gli dico.

"Niente ispirazione?"

"Non so cosa sia peggio, se una casa senza ispirazione o una casa senza aria."
"Per la tua carriera, la prima, mentre per la tua salute, la seconda. Tuttavia credo che l'odore dolciastro di incenso della casa di tua madre, sia migliore di quello di muffa di tuo padre."

"Forse hai ragione..." mormoro, richiudendo il libro di matematica con un tonfo secco.

Mi stiracchio sulla sedia e sbadiglio.

"Sono le sette" mi fa notare Edgar.

"Ci vuole una doccia" concludo. Vado verso la valigia e afferro il mio pigiama preferito, quello giallo con il cappuccio e le orecchie.

L'acqua della doccia di papà si scalda più lentamente di quella della mamma. Mentre aspetto che l'acqua diventi calda, mi prendo del tempo per esaminarmi allo specchio. I miei capelli sono cresciuti da che li ho tagliati quest'estate, ora cadono morbidi e arrivano a metà schiena. L'unica cosa che ho ereditato da mio padre è il colore dei miei capelli. Dopo averne contemplato la lunghezza e storto ancora una volta il naso di fronte al loro bizzarro colore, passo al viso. Guardo i miei occhi verdi riflessi nello specchio. Questi li ho presi da mia madre. Sbatto più volte le palpebre e poi mi faccio una linguaccia.

Il vapore dell'acqua comincia ad insinuarsi in tutta la stanza e appanna lo specchio.

L'acqua è pronta. Il suo tocco caldo sulla pelle è gradevole e mi fa sorridere. Il sapone che ho portato da casa di mamma, sparge tutt'intorno il profumo del cocco e io mi concedo altri cinque minuti sotto il getto d'acqua bollente. La mia mente si svuota, si rasserena. L'acqua ha un effetto calmante su di me, crea una bolla di quiete che provo raramente quando sono in mezzo agli altri.

L'acqua è mia amica.

Ma anche stasera, questo momento di pace deve finire o rischierò di arrivare tardi a cena. Chiudo la manopola e mi avvolgo in un ruvido accappatoio. Mi asciugo lentamente, partendo dai piedi con le unghie smaltate di blu, poi asciugo gambe e braccia. Detesto le mie braccia e sono sicura che loro odiano me. E così le sfrego con forza, con troppa forza. Una sottile crosta di sangue si stacca e il taglio di due giorni fa ricomincia a sanguinare copiosamente. Accidenti. Avvolgo intorno della carta igienica e stringo forte. Ovviamente mio padre ha una cassetta di pronto soccorso in bagno e, altrettanto ovviamente, le bende sono di fianco ai cerotti, che sono di fianco al disinfettante, che è di fianco al cotone idrofilo. Mi ritrovo a pensare che in certe occasioni la pedanteria può essere un pregio.

Un paio di cerotti e mezzo rotolino di garza dopo, sono pronta per andare a cena. Mi assicuro che le maniche del pigiama coprano bene le braccia ed entro in cucina.

Michael ha preparato un piatto italiano, pasta al ragù. Preconfezionato.

"Come mai ci hai messo tanto?"

"Mi faccio sempre con calma la doccia" rispondo quieta. In parte è vero. "E poi noi donne perdiamo sempre tempo con creme e profumi."

Sono brava a mentire. Michael annuisce vago e comincia a mangiare.

Il taglio sul braccio continua a pulsare. Arrotolo gli spaghetti con cura attorno alla forchetta e mi riempio la bocca. Sono brava a mentire e lo posso fare con tutti.

Tranne che con me.

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora