"Signorina Archer, c'è una visita per lei" mi annuncia la capo reparto con la solita voce stridula, riavviandosi i crespi capelli grigi. Mentre raggiungo il parlatorio con le farfalle nello stomaco, i cattivi pensieri di qualche ora prima sui miei genitori adesso mi sembrano addirittura ingiusti.
Eccola lì, seduta ad uno dei tavoli del parlatorio c'è mia madre. Finalmente è venuta a farmi visita. Sapevo che sarebbe venuta, lo sentivo.
Il parlatorio è ricavato in una stanza un po' più grande delle altre, ma come le altre è fredda e anonima. Lei, come sempre abbigliata alla sua maniera, sembra una macchia di colore sul muro perfettamente bianco. Un fazzoletto stretto tra le mani, ha gli occhi cerchiati di tristezza. Mi siedo di fronte a lei e la osservo senza riuscire a spiccicare parola. Solo ora, vedendola così, capisco il senso della frase di Cameron quando diceva che smetteva di bere non per lui, ma per chi gli voleva bene.
Ora capisco. In fondo al mio cuore voglio molto bene a mia madre. Ho sempre creduto che tagliarmi fosse una scelta mia, che non condizionava nessun altro, ma vedendo Sasha capisco che non è così. Se tagliarmi le provoca tanta sofferenza non voglio farlo più. Lo giuro.
"Ciao" mormora.
"Ciao" le rispondo impacciata. È così strano vederla così.
"Sono venuta a salutarti."
"Grazie" dico "sto abbastanza bene. Certo mi manca il mondo là fuori, ma mi sto ambientando. E tu ...?"
"Io parto, Abigail" mi interrompe.
"Come.. cosa... che vuol dire?" balbetto allarmata.
"Io non posso reggere questa situazione, tesoro. Cerca di capirmi, il mio spirito è stanco e addolorato per te e ha bisogno di riposo."
"Cosa stai dicendo?" scatto "Ma te ne rendi conto? Sei tu l'adulta, sei tu mia madre!"
"Non urlare, ti prego" sussurra, cominciando a piangere sommessamente.
"Come puoi lasciarmi sola?" continuo imperterrita.
"Tesoro, come posso aiutarti se non sono in pace con me stessa?"
"Non mi interessa! Non sono io a doverti dire come! Tu dovresti restare qui e basta! Restare con me!"
"Non posso... non posso... non ce la faccio" continua, prendendosi la testa tra le mani.
La guardo sconcertata: è lei la codarda, non io. Io mi taglio, sì, mi faccio del male, ma non scappo, non mi sottraggo. Io affronto tutti i giorni una vita che odio, un'esistenza che non sopporto. Sono loro i codardi.
"Per favore, Abigail, dammi la tua benedizione per questo viaggio."
Mi alzo in piedi stringendo i pugni esasperata.
"Parti pure. Ritrova te stessa. Lo farò anch'io. Ma non ti aspettare alcun supporto da parte mia" sibilo.
Esco a grandi passi dal parlatorio, non voglio stare con lei un attimo di più, non voglio sentire i suoi singhiozzi bugiardi. Corro lungo i corridoi svoltando a caso, evitando tutti quelli che incrocio, mi sento così arrabbiata che vorrei prendere a calci il mondo, anzi no, vorrei una lametta per dare forma al mio dolore, per cancellare il mio giuramento. Ho la vista annebbiata dalle lacrime, il petto che mi brucia, ma continuo a correre. Continuo fino a che non sbatto contro qualcuno.
"Cos'è successo?" mi chiede Cameron trattenendomi per un braccio, quindi mi attira a sé con un gesto deciso e mi stringe.
Mi sento come quando faccio la doccia e l'acqua calda mi avvolge; dopo un po' smetto di piangere e rimango immobile tra le sue braccia.
"Mia madre parte per l'India a trovare se stessa" mormoro con il viso premuto sul suo petto. "E pensare che in parlatorio ho quasi provato compassione per lei nel vederla così piccola e triste."
"L'hai detto tu che è frivola. Non dico che dovevi aspettartelo, ma dovevi essere pronta ad una cosa del genere."
"Come potevo, come avrei potuto pensare che mi abbandonasse?" gli dico alzando lo sguardo su di lui.
"Lei è come la nostra Maria Antonietta, vede la realtà in un modo tutto suo, distorto. Secondo lei quello che sta facendo è un gesto d'amore verso di te" prosegue calmo Cameron.
"Mi ha detto che ha bisogno di riposo!"
"La follia, Abigail, è come il sole nero: getta la sua ombra sul mondo e non c'è luogo che venga risparmiato."
"Stai dicendo che è pazza?" esclamo guardandolo.
"Non c'è individuo che non abbia in sè un'ombra di follia. Si può essere pazzi d'amore, ma anche pazzi d'odio. Siamo come una tastiera di pianoforte: un po' bianchi e un po' neri, un po' folli e un po' saggi. La vita corre sui tasti della nostra anima e trae suoni armonici o dissonanti. Tua madre è pazza, sì, e la sua pazzia è la codardia."
Quindi non lo penso solo io, sono loro i codardi.
"Non posso farcela, Cameron" mormoro dopo un po'. "Continuerò a tagliarmi. Io non ho un motivo per smettere. Tu hai Marlowe, la band, la tua musica."
"E tu hai la tua penna, Abigail, tu componi parole, crei luoghi e personaggi che senza di te non avrebbero vita. E hai tuo padre, e per quanto severo e freddo, lui è rimasto. Fallo per questo. E poi un giorno troverai un ragazzo, un bravo ragazzo, che ti amerà con tutto se stesso e tu lui. La nostra follia è quella di piangerci addosso e questo ci impedisce di vedere ciò che siamo davvero, ciò che abbiamo, ciò che possiamo avere. Quando capirai, allora avrai smesso di tagliarti."
Il mio cuore perde un battito. Torno a guardarlo e mentre mi perdo nei suoi occhi marrone. Sì, mi dico, devo farlo anche per lui.

STAI LEGGENDO
Red as Blood, Red as Wine
General FictionAbigail ha sedici anni, una madre assente, un padre freddo e distaccato, un amico molto particolare e una lametta con cui si ferisce spesso per scappare da una vita che odia. Cameron ha diciotto anni, una madre che l'ha abbandonato, un lavoro che od...