Cameron

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L'effetto del calmante è passato. Seduta sul letto dell'infermeria, Abigail piange da ore e continua a bisbigliare ininterrottamente il suo nome dondolando avanti e indietro, come in trans. Ormai si è fatta sera, ma lei non beve, non magia. Inutili i miei tentativi di riportarla alla ragione. I medici sono preoccupati per lei: se entro le prossime dodici ore non si normalizzerà in modo naturale, dovranno ricorrere ad un intervento farmacologico. Hanno avvisato suo padre, è in Europa per un breve viaggio di lavoro; appena ha saputo ha mollato tutto, ma non ci sono voli liberi per San Francisco fino a domani. La madre è irreperibile. 

"Abigail" la chiamo, esasperato e preoccupato. Lei non mi risponde. La scuoto lievemente.

D'un tratto si ferma e tace, resta immobile con lo sguardo perso.

"Abigail, ti prego, parla con me."

"L'ho uccisa io" dice in un sussurro.

"Non dire sciocchezze, tu le volevi bene" le dico inginocchiandomi davanti a lei e prendendole le mani.

Abigail tace e io temo che si sia chiusa nuovamente, forse avrei dovuto risponderle diversamente, ma quale poteva essere la cosa giusta da dire se non la verità? Di nuovo silenzio, ma almeno ora ha smesso con il suo mantra. Il ticchettio dell'orologio sulla parete diviene quasi un fastidio. I minuti passano, io resto davanti a lei con le sue mani nelle mie, ma Abigail non mi guarda, i suoi occhi fissano un punto indeterminato al di sopra della mia spalla.

"Sì, invece, l'ho uccisa io! Lei aveva bisogno di me, ma io l'ho lasciata da sola!" dice infine.

"Non potevi prevederlo, nessuno avrebbe potuto, nemmeno i medici lo avevano previsto." 

"Io sì, io avrei potuto" mi dice ostinata.

"Ma come accidenti potevi?" scatto.

"Era peggiorata ultimamente, l'hai visto anche tu. Ogni notte era sempre più agitata, ogni giorno meno allegra. Parlava del popolo in rivolta, era angosciata, io avrei dovuto aiutarla."

"E come? Non c'era più modo di farle capire quale fosse la realtà."

"Poteva impedirlo" insiste.

"No, Abigail, non potevi. E forse è stato meglio così."

"Che intendi dire?" mi chiede allarmata.

"Che vita avrebbe mai potuto avere, sbattuta da un istituto ad un altro in un mondo che non le apparteneva?"

"Ma meritava di vivere!" esclama scoppiando in lacrime.

"Non metto in dubbio questo, ma la qualità della vita che avrebbe dovuto condurre."

"Sì, ma..."

"E mai, mai devi colpevolizzarti per la sua morte. Tu hai fatto molto più di chiunque altro, le sei stata accanto quando non aveva nessuno, lei ha trovato una vera amica in te."

"Mi stai dicendo che è andata così come doveva andare. Perché la nostra è una battaglia che non possiamo vincere, giusto?" mormora.

"No, non ho affatto detto questo. Io e te la nostra battaglia la stiamo vincendo, ma non per tutti è così. Mary-A è stata sopraffatta dalla sua battaglia perché non aveva alcuno scopo nella vita. Per noi è diverso: io ho la mia musica, Marlowe e ora anche te. Tu stai ricostruendo il rapporto con tuo padre, vuoi diventare una scrittrice e hai me. Se qualcuno è responsabile della morte di Mary-A, quel qualcuno non sei tu, ma chi le ha tolto la possibilità di vivere la sua vita... e non sempre quel qualcuno è fuori di noi."

Afferro la bottiglia d'acqua sul comodino e gliela porgo.

"Bevi" le dico, "solo qualche sorso."

"Ora prova a dormire un po'" la invito, facendola stendere sul letto. Abigail mi guarda in silenzio, gli occhi rossi e gonfi di pianto, è stremata. Le do un lieve bacio sulla fronte.

"Abbracciami" mi dice, "non posso farcela da sola."

Mi stendo accanto a lei abbracciandola da dietro, il suo capo nell'incavo del mio collo. Le accarezzo i capelli, le massaggio le braccia finché sento il suo respiro farsi profondo e regolare. A tratti, nel sonno, la sento lamentarsi allora la stringo di più e lei torna rilassarsi. 

Che bella e al contempo crudele è la vita. Dopo la notte al parco, quello appena trascorso avrebbe dovuto essere uno dei giorni memorabili della mia esistenza e invece è stato uno dei più dolorosi: ho perso una persona alla quale volevo bene e non sono riuscito ad alleviare la sofferenza di Abigail. Eppure, a pensarci bene, qualcosa di buono in tutto questo c'è. Sono qui, in uno dei giorni più no della mia esistenza, abbracciato alla ragazza che amo e ho resistito alla tentazione di cercare illusorie consolazioni nell'alcol.

Mentre anche io chiudo finalmente gli occhi su questa giornata, penso che sì, io ed Abigail possiamo davvero vincere la nostra battaglia.

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora