Abigail

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Oggi è il gran giorno. Papà è venuto a prendermi all'ora concordata, puntuale come un orologio svizzero, e mi ha portato una bottiglia di Sprite. Sorrido. Entriamo nel taxi e in silenzio ci dirigiamo verso casa.

"Faccia una deviazione per Gough St. E si fermi davanti al Lafayette Park, prego" ordina mio padre all'autista.

"Hai detto tu che ci volevi andare" mi dice premuroso.

Quando arriviamo esito un attimo a scendere.

"Sei stato tu a dirmi che, a volte, certe persone devono essere lasciate andare, vero? Che devono trovare il loro posto."

"Lo so" annuisce. "E' giusto così e non ho mai voluto se non questo per te" conclude.

Gli sorrido ancora una volta.

"Ti voglio bene, Abigail" mormora.

"Anche io papà" concludo, scendendo dall'auto. Lui non mi segue, ma abbassa il finestrino dell'auto per parlarmi.

"Vuoi che ti aspetti o preferisci che ti lasci i soldi per un altro taxi."

"Grazie, ma preferirei prendere il bus."

"A questa sera, Abigail, ti aspetto non più tardi delle otto."

"Non più tardi delle otto, promesso."






Guardo la baia illuminata dal sole di giugno. Sono seduta sulla stessa panchina di quella sera con Cameron e sto sorseggiando una Sprite. Nessun dubbio sul da farsi. Guardo l'orologio: a quest'ora Cameron dovrebbe già essere al Blue Jazz per le prove e per aiutare Marlowe nei preparativi per la serata.

Mentre prendo il bus che mi porterà verso la baia cerco di immaginare come sarà incontrarlo, ma so già che la realtà è sempre diversa dalla fantasia, così immagino le cose peggiori, nella speranza di esorcizzare un suo rifiuto.

All'entrata del locale c'è ancora la scritta near end, ma le porte sono semichiuse e dall'interno provengono le note di pianoforte. Riconosco la musica e lo stile: è Cameron che suona.

Raggiungo la sala da cui proviene la musica e lo vedo seduto al pianoforte, prova alcuni accordi, sorseggia una bibita mentre parla con un uomo che mi sembra lo stesso che ho visto il giorno in cui Cameron ha lasciato l'Istituto, solo che adesso è di spalle.

"Cameron" lo chiamo.

"Abigail" risponde lui sorpreso, alzandosi.

Anche Marlowe ora si volta verso di me. "Abigail, ho sentito molto parlare di te e mi fa piacere conoscerti."

"Anche per me è un piacere conoscerla."

Cameron si avvicina a Marlowe: "Mi concedi mezz'ora di pausa? Gli altri componenti della band non arriveranno prima."

Lui annuisce e Cameron viene verso di me.

"Vieni" mi dice prendendomi per mano e conducendomi in una stanza nel retro del locale. E' una stanza con una grande finestra che dà sulla baia, un tappeto vintage con i toni dell'azzurro ricopre quasi tutto il pavimento e io penso che è bello rivedere il mondo a colori. Su una parete c'è un divano capitonné rosso bordeaux e davanti un piccolo scrittoio ricoperto di spartiti. Sulla parete, di fronte al divano, c'è un pianoforte verticale.

"Questa è la stanza in cui alle volte mi fermo a dormire o a comporre."

"Bella!" rispondo.

Cameron apre un piccolo frigo nell'angolo e mi porge una bibita.

"Come stai?" mi chiede.

"Bene, ma ho un problema."

Cameron mi guarda preoccupato e forse anche un po' deluso: "Continua" mi dice.

"Ecco, l'ultima volta che ci siamo parlati mi hai detto quando sarei stata pronta ad assumermi le mie responsabilità avrei dovuto farti un fischio. Ed ecco, qui nasce il problema: io non so fischiare, però oggi ho pensato che se mi fossi presentata qui, come di fatti ho fatto, e ti avessi parlato, come di fatti sto facendo, ecco, pensavo che forse, in nome di quell'amore perfetto di cui abbiamo disquisito qualche tempo fa, potresti amarmi nonostante questo mio difetto."

Cameron alza un sopracciglio. "E così non sai fischiare. Mh. Sì, questo potrebbe essere un problema, ma dal momento che ormai sei qui e che d'un tratto mi è presa una gran voglia di baciarti, ecco, direi che potremmo sorvolare sul fatto che non sai fischiare!"

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora