Abigail

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È stato un sonno breve e molto agitato, ma alla fine, ecco, mi sono risvegliata. È stato solo un sogno, un incubo per meglio dire. Io sono nel mio letto e Maria Antonietta dorme quietamente nel suo.

"Abigail" mi chiama con voce impastata dal sonno. Mi volto per rassicurarla, come fanno le madri con i loro bambini appena li sentono piangere, ma il suo letto non c'è e che questa non è la nostra stanza, ma l'infermeria.

Un pensiero atroce apre nel mio stomaco una voragine di angoscia.

E' tutto vero. Mary-A è morta.

Comincio a piangere cercando di dare sfogo al dolore. E' l'unico modo sano per liberarmi dal mio fardello di disperazione, ma non è sufficiente, non per me, non ora. Sento il desiderio di tagliarmi crescere dentro di me, forte come non mai. Tutto il tempo trascorso qui, a quanto pare, non ha fatto altro che accrescere l'astinenza. Sono in un ambiente protetto in cui sono stati tolti artificialmente molti dei motivi per cui mi taglio, ma ora che la vita prepotentemente si è presentata con il suo fardello di insopportabile dolore, mi accorgo che l'unica cosa che vorrei fare è tagliarmi. A nulla quindi sono valsi questi mesi, a nulla la psicoterapia, i progetti per il futuro. E l'amore di Cameron? Dov'è lui? Dov'è ora che ho bisogno di lui? 

"Cameron!" chiamo, "Cameron!"

L'infermiera di turno mi ha sentita e si precipita nell'infermeria.

"Ciao Abigail. Cameron non è qui, immagino sia tornato nella sua stanza. Ha dormito con te fino a qualche minuto fa. Sarebbe contro il regolamento, ma per voi abbiamo fatto un'eccezione. Vuoi fare un po' di colazione, cara?" 

"Sì, certo" mento abbozzando un leggero sorriso, "ma prima vorrei fare una doccia e lavarmi i capelli. Le dispiace?"

"Certo che no, bambina. Tra mezz'ora ti porterò il vassoio con la colazione."

"Sì, grazie, mezz'ora mi basterà."

L'infermiera si allontana soddisfatta.

Appena la porta della stanza si chiude, vado verso il bagno. Con le mani che tremano, in preda ad una strana frenesia, cerco una lametta che ovviamente non posso trovare. Cado a sedere, esasperata mentre piango di frustrazione. In questo maledetto posto non c'è nulla che possa servirmi. Osservo le mie mani continuano a tremare ed improvvisamente trovo la soluzione che cercavo: le mie unghie sono corte, ma basteranno. E così inizio a graffiarmi la parte interna degli avambracci, lì dove la pelle è quasi trasparente e le vene visibili. Stringo i denti per il dolore mentre mi lacero la pelle, più e più volte, finché diviene insopportabile. Resto immobile con lo sguardo vuoto, gli avambracci che pulsano e intanto penso che non sono riuscita ad aiutare Mary-A e che per questo merito la punizione che mi sono inferta. 

"Abigail!"

Mi volto di scatto mentre lui continua a parlare concitato: "Abigail, perdonami, non sono riuscito a venire prima, ma sono corso appena ho saputo. Come..." esclama Edgar, piombando nel piccolo bagno.

"No" lo interrompo seccamente. "Non oggi. In tutta onestà credo che se avessi una pistola ti sparerei in testa" sibilo. Edgar guarda con rammarico e rassegnazione le mie unghie sporche di sangue, scuotendo il capo. 

"Perché mi tratti così, Abigail?"

"Forse perché sei soltanto il frutto della mia mente malata e un cattivo consigliere."

"Sì, hai ragione, non sono reale, eppure se sono una proiezione della tua mente qualcosa di reale in me c'è. Sono una parte di te Abigail e forse dovresti ascoltarmi di più. Forse dovresti ascoltarti di più e quando lo farai io sparirò, te lo prometto."

"Ti ho detto di andartene" taglio corto.

"Sì, me ne vado, ma ti prego, pensa ciò che ti ho detto."

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora