Abigail

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"Signorina Archer, c'è una visita per te" mi annuncia la capo reparto entrando nella sala soggiorno.

"Oh, proprio ora che stavo vincendo" ride Mary-A poggiando sul tavolo la sua mano di carte "ma ad una visita non si dice mai di no, anche quando è inaspettata. E' sempre bello sapere di avere qualcuno che cerca la nostra compagnia. Pensate a come sarebbe triste la nostra vita se nessuno ci cercasse, se nessuno desiderasse vederci."

Sul viso di Mary-A compare d'un tratto un velo di tristezza.

"Ma voi siete sempre nei mie pensieri, mia regina" interviene prontamente Cameron cercando di fugare il malumore di Mary-A "e sicuramente nel cuore di tutti coloro che vi conoscono."

Mary-A torna a sorridere coprendosi vezzosamente le labbra con il ventaglio.

Scambio uno sguardo di intesa con Cameron e mi avvio verso la saletta per gli incontri, con il cuore in gola, memore dell'ultimo colloquio con mia madre, perché lo sento, non può che essere lei. Di sicuro è tornata sui suoi passi, non è partita per l'India ed è venuta a dirmelo. Sì, è così.

Quando la porta del parlatorio si apre, si apre contemporaneamente anche la mia bocca, per la sorpresa.

"Papà!" esclamo osservando mio padre che, nervoso, si sistema la cravatta.

"Abigail" mi saluta lui "siediti" aggiunge, sedendosi a sua volta. Per qualche secondo o forse più cala un imbarazzato silenzio. E' mio padre il primo a parlare: "Tua madre è partita, lo sai?"

Abbasso gli occhi e annuisco.

Quindi se n'è andata lo stesso.

"Ho portato le tue cose a casa mia" continua. Cala di nuovo il silenzio. "Non devi prendertela, Abigail, è fatta così. Io l'ho capito anni fa. Fuori è una donna, ma dentro è rimasta una ragazzina." La sua voce è velata di tristezza. Io trovo il coraggio di guardarlo e lui prosegue: "Quando si è giovani si fanno degli errori che tutti chiamano esperienze. Le ho fatte anch'io queste esperienze, e le ho pagate."

Lui fa una pausa. E' la prima volta che mi parla così.

"Tua madre ed io non eravamo sposati quando lei è rimasta incinta. Sai, da giovani si è più ribelli, non si vuole sottostare alle regole e si fa di tutto per irritare i propri genitori. Io non ero da meno. Tua madre era perfetta per me, era allegra, solare, stramba, era la mia energia. Quando è rimasta incinta l'unica scelta possibile era sposarsi, la mia era una famiglia all'antica. I primi tempi sono andati bene, ma poi bisogna maturare, Abigail, è inevitabile. Sasha non è mai cresciuta. Io, per quanto ribelle fossi da giovane, sono diventato adulto, rigoroso. E voglio la stessa cosa per te te, Abigail, non voglio che tu faccia i miei stessi errori. Non voglio che diventi come tua madre." 

"Quindi io sono solo un errore? E come mai non mi avete chiamata ops?"

"Non intendevo dire questo. Non ti aspettavo in quel momento della mia vita. E' vero, dovevo finire gli studi, ma, Abigail," continua sporgendosi sul tavolo "se tu sei un errore, allora sei l'errore più bello della mia vita."

Lo guardo a lungo, cercando di tenere a bada le emozioni.

Da che ne ho memoria non mi ha mai detto che mi voleva bene, mai un gesto d'affetto o una parola carina, e ora scopro che la sua severità non era mancanza di affetto, lui voleva solo farmi evitare degli errori, lui non voleva rischiare che diventassi come mia madre, una donna incapace di crescere, incapace di assumersi delle responsabilità.

Lui sembra leggermi nel pensiero: "Devi capire che, certe volte, per quanto tu possa amare una persona, devi lasciarla andare, lo devi fare proprio per l'amore che gli porti. Certo, un figlio non dovrebbe mai trovarsi nella condizione di vedere sua madre andare via; a te è successo, ma sai che lei non è cattiva, non coscientemente almeno, perché Sasha non ha coscienza di ciò che fa agli altri."

Mi sorride amaramente, uno dei suoi rari sorrisi, forse il primo sorriso, perchè non ne ricordo altri.

"E nemmeno io" aggiunge subito dopo.

"Nemmeno tu, cosa?"

"Non sono stato giusto con te, ti ho ferita profondamente con il mio distacco, ma non me ne rendevo conto e soprattutto non era quello il mio scopo: per il timore che diventassi come tua madre, pretendevo di farti crescere troppo in fretta, e scambiavo gli atteggiamenti tipici della tua adolescenza, per la prova che somigliavi a lei e che come lei avresti vissuto una vita in realtà vuota."

"Perché non sei mai venuto a trovarmi?"

"Io avrei voluto, ma pensavo che non lo volessi tu. Quando ti sei risvegliata, in ospedale, hai parlato con tua madre, ma non hai mai guardato me. E lì ho capito quanto male ti avevo fatto, ho compreso di avere fallito il mio ruolo di padre e che, anche se in modo diverso, nemmeno io ero cresciuto perché avevo lasciato che la mia storia con Sasha oscurasse la mia ragione. Quella sera ho capito che non ti avevo mai conosciuta davvero, perché in te avevo visto solo Sasha. Sono io il vero colpevole di tutto ciò che hai patito."

Ecco, ho sempre pensato che la frase non ci sono parole sia solo una frase ad effetto, una scusa per chi in realtà non ha niente da dire, e in vece no, perché io resto davvero senza parole, nel senso che non c'è nessuna frase, nessun discorso che possa tradurre tutto quello che sento. Mio padre è ancora seduto davanti a me, le mani intrecciate poggiate sul tavolo, allungo una mano e sfioro le sue e, appena lo faccio, ho la netta sensazione di avere cancellato anni di incomprensioni.

Restiamo così, non so per quanto tempo; la cortina di gelo che ci separava si è sciolta, e cominciamo a raccontarci: ti ricordi quando... Ridiamo.

"Che ne dici, ho visto un distributore di bevande appena fuori dalla porta del parlatorio. Ti va una cioccolata? Da piccola ti piaceva tanto..."

Sorseggiamo la bevenda calda e continuiamo a parlare.

Quando mio padre se ne va lo abbraccio, lui mi carezza i capelli: "Ciao, Abby."

Resto a lungo seduta immobile, a ripensare le parole di mio padre. Ha detto esattamente quello che era giusto dire, quello che un padre direbbe ad una figlia. Anch'io ho sbagliato, so come ci si sente. Ma quando si cade ci si rialza. E io gli voglio bene.

Quando torno in sala comune, vedo Cameron che sta ascoltando le simpatiche fantasie di Mary-A abbozzando cenni di assenso con il capo. 

"Era mio padre" annuncio. Cameron annuisce e mi guarda fisso. 

"E' partita" concludo. Lui mi stringe la mano nella sua, è calda e forte, e mi fa sedere vicino a lui.

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora