Cameron

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Il percorso verso Gough St. è più lungo quando si usano le vie secondarie, ma non di molto se si conosce bene la città. Abigail mi segue in silenzio mentre il suo respiro leggermente affannato crea nuvolette di vapore perlaceo che si disperdono nell'aria notturna di settembre.

"Non sarà pericoloso girare da soli alle tre del mattino?"

"Ehi, vuoi scherzare? Suono in un piano bar, normalmente dormo di giorno e lavoro di notte, so come muovermi" dico mentre estraggo dalla tasca della giacca una lattina di Sprite. "Guarda, siamo già arrivati".

L'entrata del Lafayette Park si apre tra i palazzi in stile vittoriano. Con la coda dell'occhio seguo la reazione di Abigail; è sorpresa e contenta allo stesso modo. 

"Magari non è il parco con il tuo scoiattolo rosso, ma è pur sempre un parco!" Lei sorride e mi poggia per un attimo la testa sulla spalla; il suo gesto mi ricorda Blackjack, il gattone scuro e spelacchiato che trovavo spesso dalle parti del Blue Jazz in cerca di cibo. Quando uscivo sul retro per fumare gli portavo qualche avanzo di cibo, lui si avvicinava e strofinava la testa sulle mie gambe.

Saliamo fino in cima la scalinata che ci conduce dentro il parco, che a quest'ora della notte è per lo più deserto e silenzioso, e percorriamo in silenzio le strade che si inerpicano sulla collina, tra gli alberi imponenti e le siepi di lavanda. Infine ci sediamo su una delle panchine che guardano la baia.

L'aria è abbastanza fresca, Abigail tira su il colletto della giacca. Guardo i suoi capelli luminosi mossi dalla brezza e penso che potrei scrivere una canzone per lei.

"Mi è mancato tutto questo" commenta, bevendo un lungo sorso dalla lattina.
"L'hai fatto altre volte?" mi chiede poi. 

"Cosa, uscire con una ragazza o bere una bibita?" 

"Uscire dall'Istituto, scemo!" ribatte ridendo.

"Solo due volte e sempre da solo, ma stasera ho pensato che forse ti avrebbe fatto piacere venire con me, distrarti un po'."

"Grazie" mormora, passandomi la lattina. I suoi occhi verdi risplendono mentre si guarda attorno: le sagome scure degli alberi del parco, il cielo rischiarato dalla luna piena e le stelle tremolanti, le luci della baia. Nella penombra la vedo sorridere.

"A cosa stai pensando?"

"Che sono poche le volte in cui mi sono sentita così."

"Così come?" le chiedo ancora.

"Felice" risponde. "Anzi, pensandoci bene, è successo solo un'altra volta."

"Quando?"

"Avevo 12 anni. Era estate. Mio padre doveva fare un viaggio di lavoro in Italia e decise di portarmi con lui a Venezia. Non stavamo quasi mai insieme, ma a me non importava molto. Potevo girare liberamente per la città e spendevo intere giornate alla ricerca di... non so nemmeno io bene di cosa! Alla fine trovai un posto, dietro Piazza San Marco, un ponte di cui non ricordo nemmeno il nome. Però ricordo che passavo intere giornate lì. Ascoltavo il rumore del mare che sciabordava sugli antichi palazzi che sembravano sorgere dal mare e lo stridere dei gabbiani, i ponti e le strade, il viavai di persone. Sembravano tutti felici e in quei momenti lo ero anch'io. Mi ricordo in particolare di una giovane coppia: lei aveva i capelli rossi ed era minuta, lui la superava quasi di due spanne. Camminavano mano nella mano, in silenzio: si parlavano con gli occhi. Ricordo di avere pensato che anch'io, se mai mi fossi innamorata, sarei stata esattamente così. Ci saremmo guardati come facevano loro. Lui la guardava come si guarda ciò che è perfetto e lei faceva altrettanto. L'amore fa scomparire i difetti" conclude. 

"Non è vero che da innamorati non si vedono i difetti. Io li vedo e tuoi difetti, il problema è che mi piacciono" le dico guardandola dritta in viso.

Red as Blood, Red as WineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora