"Buongiorno, signorina Archer."
"Dove sono?" gracchio mentre metto a fuoco la giovane donna bionda seduta sul bordo del mio letto.
"Al Saint Hospital" risponde "e non appena ti sarai stabilizzata, verrai trasferita all'H.F.Y."
"H.F.Y?"
"Help For Young" spiega "dove proviamo ad evitare di farvi sprecare le vostre vite" continua con voce priva di emozione.
"Non ho bisogno di entrare in un istituto! I miei genitori..."
"I tuoi genitori" mi interrompe, "hanno già dato il loro consenso."
"Ma io non ne ho bisogno!"
Per tutta risposta lei mi prende il braccio devastato dai tagli e dove una vistosa benda mi avvolge il polso. Lo ritraggo bruscamente, mentre mi assale un senso di vergogna perché ora gli altri hanno potuto vedere ciò che ho sempre cercato di nascondere.
"Solo per sei mesi" conclude.
"Sei mesi?" grido, o almeno questa era la mia intenzione.
"E in questo tempo imparerai a vivere con te stessa e con il tuo corpo."
"Che puoi saperne tu?" sibilo "Niente. O magari possiamo scambiarci i ruoli: tu soffri e io me ne frego. Poi prova di nuovo a farmi un discorso del genere ..." concludo, voltandomi dall'altra parte.
Lei si alza senza fare alcun rumore, me ne accorgo perchè la pressione esercitata dal peso della donna sul materasso si è allentata, e sento la porta della stanza che si apre. Dopo qualche istante avverto nuovamente una pressione sul materasso. A quanto pare non sono stata abbastanza convincente. Mi rigiro dalla parte della donna, pronta a replicare.
"Abigail" sussurra mia madre.
Ha la voce rotta dal pianto. Mi accarezza lievemente il braccio cercando i miei occhi; i suoi, infinitamente tristi e cerchiati, sono spenti. La sua solita allegria, quella insopportabile spensieratezza da bambina è sparita, si è persa, dileguata. Non sembra lei, e mentre una parte di me gode della sua aria afflitta, l'altra si sente stringere il cuore e vorrei riaverla così com'era. Azzerare tutto. Ritornare indietro. Riavvolgere il nastro della mia vita e ritornare davanti al parco in cerca di quello stupido scoiattolo. Prima, prima del sangue.
Distolgo lo sguardo dal viso di lei e lo abbasso ad osservare la sigla rossa impressa sul risvolto del lenzuolo: S.H., Saint Hospital. E' colpa sua se sono qui, sua e di mio padre.
"Ma perché l'hai fatto?" mi chiede con voce sommessa.
Non rispondo. Come posso spiegarle? Come posso pensare che mi capisca? Le sembrerei pazza o tremendamente stupida. Ma io non sono nè l'una nè l'altra e sono sicura che, se solo mi avesse guardata davvero, non sarei riuscita a nascondere per così tanto tempo le mie cicatrici. Le cicatrici del corpo. Le ferite dell'anima.
Non mi ha mai guardata, però. E ora siamo qui.
"Abigail..." ritenta, mentre una lacrima le scivola via e si espande sulla federa del mio cuscino creando una piccola macchia grigia. Ma io non ho voglia di parlarle e lei non trova le parole: il silenzio tra noi testimonia il dolore di entrambe.
"Lasciala riposare, Sasha" interviene mio padre. Deve essere arrivato insieme a lei e si deve essere fermato sulla porta con il suo solito atteggiamento distaccato. Nemmeno lo guardo.
Mia madre si alza ed esce dopo avermi dato un bacio sulla fronte. Al tocco delle sue labbra mi irrigidisco.
Sento la porta chiudersi e questa volta alzo lo sguardo per accertarmi che nella stanza non ci sia nessuno. Ora sono sola.
Domani mi sveglierò e fingerò di essere quella che non sono, una ragazza che ha fatto una sciocchezza e nulla più. Sarò questo e nessuno capirà. Tutti vedranno quello che sembro, nessuno vedrà quello che sono. So come nascondermi, sono brava a fingere, lo sono sempre stata e quello che ho compiuto ieri è stata solo una svista, mi sono lasciata prendere la mano.
Prendere la mano, prendere il polso, piuttosto.
Ho un ricordo confuso di ciò che è successo: ricordo il sangue, non riuscivo a fermarlo, e la voce di mio padre.
Sento le lacrime pungermi gli occhi, una scivola sul cuscino, si allarga lievemente e si unisce a quella di mia madre.
Mi asciugo velocemente gli occhi con la mano e li chiudo.
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Red as Blood, Red as Wine
General FictionAbigail ha sedici anni, una madre assente, un padre freddo e distaccato, un amico molto particolare e una lametta con cui si ferisce spesso per scappare da una vita che odia. Cameron ha diciotto anni, una madre che l'ha abbandonato, un lavoro che od...