Epilogo

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Mi chiudo la porta d'ingresso alle spalle, facendo attenzione a non farla sbattere come sempre, per poi far scattare la serratura con un rapido colpo del polso e un giro di chiave.

Lascio poi cadere il mazzo di chiavi nella borsa e, dopo aver dato un'ultima occhiata al giardinetto accanto alla casa, mi sistemo una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio e raggiungo la strada.

Oggi il sole splende particolarmente e l'aria è secca e asfissiante. Ho dovuto recuperare una di quelle canottiere sfatte che indosso solo per restare in casa e un paio di shorts in jeans.

Sistemo la tracolla in cuoio della borsa sulla spalla e inizio a camminare verso la stazione degli autobus.

Molti bambini saltellano e strillano lungo i marciapiedi, chi mano nella mano con la propria nonna e chi con gli amici a gustarsi un cono gelato ormai sciolto e gocciolante.

Inspiro profondamente, beandomi di questa beata e quotidiana semplicità: nulla potrebbe rovinare una giornata così, che fa apparire tutto come avvolto da una bolla invisibile di pura felicità e spensieratezza.

Eppure la vedo.

La vecchia casa dall'altro lato della strada, quella acquistata tempo fa da Louis e Harry.

È lì, identica a come me la ricordavo, uno di quegli oggetti avvolti da una patina di plastica e di ricordi che che lasci ad accumulare la polvere sopra l'ultimo ripiano del tuo vecchio mobile di casa ma di cui vorresti solo poterne cancellare dalla testa l'esistenza.

È sempre lì, a guardarmi.

Non so se sia stata affittata da un'altra famiglia, ma alla sera scorgo sempre le finestre del piano inferiore illuminate.

Mi stringo nelle spalle, accelerando il passo dopo aver sommessamente controllato l'orario sul display del mio orologio da polso.

La panchina di attesa è affollata e scorgo il muso del mezzo di trasporto farsi strada tra le macchine, cigolante e brontolante.

Infilo una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e recupero il mio abbonamento mensile; raggiungo la piccola fila formatasi, sistemandomi dietro ad un'anziana signora con uno di quei carrelli in tessuto usati per la spesa al mercato.

Devo anche ricordarmi di farci un salto entro stasera o rischio di non cenare.

Mostro con un sorriso la tessera al conducente e, con un piccolo balzo, prendo posto sull'autobus.

Le porte in vetro si chiudono alle mie spalle con uno scatto che mi fa sobbalzare sopra il sedile.

Mentre mi sistemo gli auricolari del telefono dentro alle orecchie, provo a immaginarmi cosa potrebbe mai dirmi l'ispettrice Dorney di così importante da farmi convocare in ufficio in una giornata estiva così afosa.

Non la vedo da settimane e sinceramente stavo quasi per dimenticare i lineamenti del suo viso, se non fosse che qualche giorno fa uno dei suoi segretari si è presentato al mio campanello con un comunicato ufficiale della donna.

Spero non si sia decisa proprio ora ad arrestarmi.

Quando le note della mia canzone preferita iniziano a farsi strada nelle mie orecchie, scorgo con la coda dell'occhio la mia fermata e, facendomi spazio fra la gente in piedi nel corridoio, raggiungo l'uscita dell'autobus aggrappandomi al suo corrimano in metallo.

Amaranthus [h.s.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora