capitolo 35

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"Mamma....mamma....mamma" la voce di Sara mi riscosse dai miei mille pensieri. Scossi la testa per diradare la nebbia che spesso mi avvolgeva e poi rivolsi lo sguardo verso mia figlia "Si tesoro..."
"Hai una nuova penna rossa? La mia si è scaricata e devo finire il compito di matematica"
"Si te la prendo subito" mi alzai dal divano e andai verso l'ingresso dove in un cassetto del mobile, tenevo le penne ed i fogli che spesso mi servivano per appuntare le cose che dovevo fare. Presi una penna rossa per Sara e poi feci per chiudere il cassetto. All'ultimo momento mi bloccai e presi in mano un blocco per appunti "Sara...sono in camera a fare una cosa...se hai bisogno mi vieni a chiamare ok?" lei annuì e poi tornò nella sua stanza a fare i compiti. Cristian era dai genitori di Stephan mentre il componente più piccolo della famiglia dormiva beatamente nella sua cameretta. Avevo deciso di dargli lo stesso nome di suo padre, anche se ogni volta che lo chiamavo o che qualcuno lo chiamava una coltellata al petto mi ricordava quanto lui mi mancasse. Stephan Junior aveva 6 mesi e aveva portato un nuovo equilibrio nella nostra famiglia atipica. Una mamma single con tre figli che cercava di creare qualcosa che somigliasse ad un porto sicuro, in mezzo al casino della propria vita.
Avevo scoperto di essere incinta poco dopo il funerale di Stephan, celebrato a Savona alla presenza di tantissime persone. Avevo vissuto la gravidanza con sentimenti contrastanti...passavo dalla gioia alla tristezza più cupa nel giro di tre minuti o anche meno. A volte portare quel figlio in grembo mi sembrava una maledizione, poi pensavo che fosse una sorta di benedizione lasciatami da Stephan..piangevo per poi ridere, toccavo la pancia per poi nasconderla sotto vestiti informi. Non sapevo neanche io quello che provavo...avevo pensato di abortire, poi mi ero dato della cretina, per poi pensare che non ce l'avrei fatta assolutamente a vivere tutto quel dolore. Alla fine ero sopravvissuta, faticosamente e a tratti senza l'assoluta certezza di riuscire a farcela. Avevo passato intere notti a piangere, avevo portato in grembo quel figlio immaginando che le mani di Stephan mi toccassero la pancia nelle notti solitarie passate nel nostro letto. Quando avevo scoperto di aspettare un maschio la depressione si era fatta ancora più profonda, perché ero assolutamente convinta che sarebbe stato l'esatta copia di suo padre. Avevo deciso di chiamarlo con il suo stesso nome perché glielo dovevo...volevo, avevo bisogno di ribadire al mondo intero e a me stessa che Stephan in qualche contorto modo era ancora vivo. Viveva negli occhi verdi e nel sorriso di suo figlio, viveva nelle piccole manine che stringevano le mie quando lo allattavo,  viveva in quel nome che ripetevo all'infinito la notte, piangendo e dormendo dalla sua parte del letto. Da quando lui era morto tiravo avanti senza uno scopo se non fare da madre ai miei figli...Sara, Cristian e Stephan erano la mia ancora di salvezza in quel mare pieno di insidie che era la mia vita. Non ero tornata ad essere la vecchia Marzia, quella che ero prima di incontrare Stephan, ero un'altra me stessa, qualcosa di nuovo che costruivo giorno per giorno, senza sapere a volte come facessi. Certe mattine la voglia di rimanere lì a piangere era tanta, troppa...era un desiderio viscerale di lasciarmi andare alla deriva. Poi rivedevo i suoi occhi verdi, rivedevo il suo sorriso, rivedevo ogni più piccolo dettaglio di lui...quelle piccole cose che amavo e che mi aiutavano ad andare avanti. Mi ero ripromessa di fare in modo che Stephan continuasse a vivere in qualche modo..avevo creato una fondazione a suo nome con l'aiuto di qualche suo compagno di squadra e qualche amico ed era nata anche una scuola calcio dove chiunque poteva portare avanti la sua grande passione per questo sport, come aveva fatto lui. Certe mattine facevo ancora fatica ad alzarmi dal letto, certi giorni erano più difficili di altri, alcuni momenti erano stati strazianti, alcuni lo erano tuttora. Verso il piccolo di casa provavo un amore profondo, perché era il frutto dell'amore puro e sincero che io e Stephan avevamo provato l'uno per l'altra per nove mesi. A volte però vederlo era un supplizio che tolleravo a fatica, perché ogni più piccolo dettaglio di quel bimbo mi ricordava di suo padre. Avrei voluto vivere con lui tutte le piccole tappe della sua crescita ed invece ero sola. Avevo deciso di rimanere a vivere nella casa di Stephan, avevo fatto in modo di aggiungere una stanza per il nuovo arrivato...con il tempo avevo dato via le cose di Stephan tenendo soltanto qualcuna delle sue magliette, quelle che indossavo per dormire la notte, immaginando che lui mi abbracciasse nella penombra della nostra stanza. Faceva male....faceva malissimo perché lui mi mancava costantemente, perché avevamo fatto tanti di quei progetti che alla fine erano naugrafati per colpa di qualcuno che non accettava la nostra storia. Nei mesi precedenti avevo raccontato la mia storia in tv, su qualche giornale, avevo testimoniato il mio profondo dolore ma anche la mia incrollabile voglia di andare avanti, anche se a fatica, nonostante tutto.
Presi il blocco per appunti e andai in camera...lì iniziai a scrivere la mia storia...

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