Promesse

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Hey heart, on the run again
Drive is strong anywhere
It's the best of world's feeling, like nothing can go wrong
You're the saddle of the world, you get to know

'Cause it's your heart, it's alive
It's pumping blood

||REINA||
I piani miei e di Marc di vederci non appena tornati a Cervera in realtà vanno in frantumi. Dopo aver passato una notte in bianco e tre giorni pieni di emozioni forti ho solo il tempo di tornare a casa dopo il viaggio in treno e pranzare con mia madre e mio fratello, prima di crollare come un bambino sul letto ancora fatto.
Mi risveglio solo alle cinque della mattina dopo. Trovo un messaggio di Marc sul telefono che mi chiede cosa stessi facendo, ma la sua ultima visualizzazione è alle diciotto di ieri pomeriggio. Immagino abbia fatto anche lui la mia stessa fine.
Approfitto della sveglia presto per aggiungere qualche dato al mio progetto sulla Honda. Conoscevo giá il modo di guidare di Marc, ma vederlo dal vivo, assistere alle manovre nel box, parlare con i suoi meccanici, sicuramente mi ha dato un quadro più completo della situazione.
Il problema di Marc è che lui si butta senza pensare ai suoi limiti, affronta ogni curva quasi con l'orecchio per terra e le taglia in un modo pauroso. Fa pattinare il posteriore all'entrata della curva, spancia la moto e apre il gas.
Non è una guida armonica, è pericolosa e scoordinata.
Il che lo rende il migliore, è vero, ma aumenta le sue probabilità di finire per terra.
Così sto lavorando ad una carena più piatta che possa assecondare meglio i suoi movimenti e ad un modo per tenere le ruote incollate per terra.
Vado in università fiera del mio lavoro, quella mattina. Sono una delle prime ad arrivare in aula, ma ci sono anche un paio di ragazzi che partecipano al progetto con me e che mi guardano di traverso. Erano sul treno anche loro ieri e credo abbiamo assistito alla scena del bacio con Marc.
Si fottano.
Non vincerò questo progetto solo perché il pilota ha un debole per me, ma perché sono la migliore.
Quando arriva Eric, invece, non mi degna di uno sguardo ed è una cosa fantastica. Al contrario di due ragazze che corrono a sedersi al mio fianco non appena mi vedono.
"Ciao Reina, come va il progetto?" mi chiedono, anche se loro non ne fanno parte e, per inciso, non ci siamo mai salutate.
Vorrei dire loro che a prescindere dalla mia esistenza non avrebbero chance con Marc, ma mi trattengo e rispondo semplicemente "magnificamente".
Non ho intenzione di starglielo a spiegare, non capirebbero.
"Via, smammate, è mio il posto accanto a Miss Marquez" le caccia Barbara, non appena arriva in aula. La guardo con un sorriso complice mentre le ragazze fanno per controbattere, ma lei le zittisce con un gesto.
Fiera di se stessa gira attorno al banco per sedersi al mio fianco non appena le due si allontanano borbottando. Cercano supporto nel mio sguardo, ma l'unica cosa che faccio è salutarle con la mano.
"Mi dispiace di non aver fatto il liceo con te, saremmo state le bullette della scuola" le dico, incrociando le braccia sul petto e puntando lo sguardo sul professore che entra in aula.
"Ehi possiamo sempre diventare le bulle del paddock, sai che bello mettere in cattura i meccanici, i giornalisti, i piloti. C'è un'ampia scelta" scherza Barbara.
Sghignazzo sotto voce per non farmi sentire dal prof, poi quest'ultimo inizia a parlare e apro il quaderno negli appunti.
Ci aspetta una mattinata di lezione e la revisione del progetto dopo pranzo.

Sono le quattro quando metto piede nella via di casa. Non mi ci vuole molto per notare qualcosa di diverso, anche perché il furgoncino bianco parcheggiato davanti al cancello è abbastanza vistoso.
I due adesivi appicciati sulle ante del retro, il 73 e il 93, rendono abbastanza facile intuire a chi appartenga.
Senza neanche rendermene conto accelero il passo, arrivando quasi correndo alla porta di casa.
Apro con le mie chiavi e grido un "ehi" non appena metto piede sul parquet.
"Siamo fuori" sento la voce di mia madre in lontananza e non so perché, ma il cuore inizia a battermi più velocemente del solito.
Lascio nell'ingresso la borsa con i quaderni e il computer e attraverso salone e cucina per raggiungere il giardino posteriore.
Mia madre e Marc sono comodamente seduti sulle poltrone del patio, con la faccia rivolta verso il sole e dei bicchieri con il ghiaccio in mano, mentre Mati rincorre la palla nell'erba, lanciandola poi a Marc che glie la ripassa con un movimento del piede.
Mia madre ha sempre adorato i fratelli Marquez e loro hanno sempre adorato lei, ma mai nella vita mi sarei aspettata di tornare a casa e trovare una scena del genere.
Marc sente i miei passi e si gira a guardarmi, con le labbra che si alzano in un sorriso a trentadue denti. Ha i capelli leggermente scompigliati e gli occhiali da sole specchiati sul viso, ed è di una bellezza disarmante.
"Ciao tesoro, guarda chi è passato a farti una sorpresa" dice mia madre, forse più sorridente di Marc. A volte ho l'impressione che sia lei quella innamorata di lui.
"Non ti sentire speciale, la sorpresa è per Mati in realtà" scherza Marc, accompagnato da uno yeee detto da mio fratello.
Vado a sedermi sul bracciolo della poltrona sulla quale è seduto Marc, costringendolo a spostare il braccio. Non riesco a smettere di guardarlo, ma sto cercando di tenere a bada il mio sorriso.
"In realtà sono contenta, lo sai che odio le sorprese" mormoro, mentre Marc sbuffa.
"Andiamo in moto, andiamo in moto" grida esaltato Mati. Devo dire che la caduta non l'ha minimamente toccato, considerando che ha tolto il gesso solo due settimane fa.
"Una promessa è una promessa" risponde Marc. Ci metto un attimo a collegare le sue parole ai fatti, poi ricordo di quando Mati è venuto a dirmi che Marc era passato a cercarmi. È stato prima di Le Mans, è stato il motivo per cui volevo partire.
"Andiamo a cambiarci allora"
Mi alzo dalla poltrona e aspetto che lo faccia anche Marc, per poi entrare in casa con Mati che ci saltella intorno.
"Io ho qui le mie cose" dice Marc, indicando un borsone ai piedi del divano.
"Puoi cambiarti in camera mia" mormoro, rendendomi conto solo dopo che cambiarsi nella stessa stanza ora non ha più lo stesso significato di prima. Così, mentre saliamo tutti e tre le scale, inizia a mancarmi la salivazione.
La mia camera è ancora nella penombra, con le tapparelle mezze abbassate così come le ho lasciate sta mattina. Entro per prima, mentre Marc chiude la porta alle sue spalle.
Decido di fare finta di niente, dirigendomi verso l'armadio alla ricerca dell'abbigliamento da cross. Solo quando apro le ante mi accorgo che le mie mani tremano.
Non ho il tempo di tranquillizzarmi però, perché un paio di braccia mi circondano il bacino. Sento il petto di Marc contro la mia schiena, il suo respiro sul mio collo e questo basta a mandarmi fuori di testa.
Mi rigiro tra le sue braccia, trovandomi faccia a faccia con il suo viso spigoloso, incastrata tra il suo corpo e le mensole dell'armadio.
"Sai sarebbe carino sentirsi dire, che so, grazie Marc che bello trovarti qui; queste ventiquattro ore senza di te sono state tragiche; non vedevo l'ora di riabbracciarti" dice lui, con un tono scherzoso e l'angolo delle labbra alzato a formare un ghigno divertito.
"Te lo scordi, Marquez" rispondo, per poi afferrargli il collo della maglietta e tirarlo ancora di più verso di me. Poggio le mie labbra sulle sue con foga, del resto era dall'ultimo bacio che ci siamo dati che non vedevo l'ora di potergliene dare un altro, e un altro e un altro ancora.
"Sai credo che potrebbe andarmi bene anche così" sussurra contro le mie labbra, poi la sua lingua si impossessa della mia e non c'è più spazio per le parole.
Le mie mani accarezzano il suo petto, per poi scendere lungo tutto il torace, giù fino si fianchi. Afferro i lembi della sua maglietta bianca, sfiorando apposta i centimetri di pelle appena sopra il bordo dei suoi jeans, e la tiro su. Marc alza le braccia per aiutarmi a sfilargli la maglia, mentre le nostre bocche sono costrette a staccarsi. Lui ne approfitta per far volare anche la mia camicetta e poi torniamo a stringerci. Per la prima volta pelle contro pelle, ogni mia cellula che adora ogni sua cellula.
Non so per quanto restiamo così, fatto sta che un leggero toc toc sulla porta ci fa fermare.
"Io sono pronto" grida mio fratello con la sua vocina stridula dal corridoio.
"Arriviamo" rispondo, poggiando le mani sul petto di Marc per allontanarlo. Lui nel frattempo se la ride.
"Peccato, mi stava piacendo questo modo di cambiarsi" dice ammiccando. Io afferro la mia camicetta da terra e glie la lancio contro.
Cerco di impiegare il meno tempo possibile per levarmi anche i pantaloni ed entrare nel completo da cross. Il tutto sotto lo sguardo acceso di Marc e combattendo con l'irrefrenabile voglia di saltargli addosso.
Non che non abbia mai fatto caso al suo corpo scolpito, tonico, perfetto, ma ora che so di poterlo sfiorare è dura trattenersi.

YOUNG GOD // MARC MARQUEZDove le storie prendono vita. Scoprilo ora