Quel capodanno, anziché stare insieme alla mia famiglia ad aspettare la mezzanotte, mi andai a rintanare nell'armadio, che ultimamente era diventato come un luogo di fuga, in cui mi rintanavo.
Mi misi Eminem tra le orecchie, con Bezerk a ripetizione a tutti volume e mi rannichiai lì dentro, con lo sportello aperto. Stavo tranquilla, con la testa che mi scoppiava, perché come ogni giorno ero stanca. Stanca di passare una brutta adolescenza, delle brutte giornate. Volevo morire.
Un anno prima avevo scoperto l'autolesionismo. Continuavo a farlo, come se niente fosse. Come se non avessi niente da perdere. Mi ritenevo brutta, e inutile. La mia famiglia mi faceva schifo, mio padre mi ripeteva quanto fossi una disgraziata, inutile, che non dovevo nascere. E pensavo che aveva ragione, a dire tutto quello su di me. Diceva che ero una carogna, e che avevo rovinato la famiglia. Che ero un alieno, una persona senza sentimenti.
Ma lui non lo sapeva. Non sapeva che io ad ogni pezzo di vetro rotto che trovavo, lo passavo sulla mia pelle fino a fare uscire sangue. Lungo le braccia, la pancia, e le gambe.
Lui non lo sapeva. Non sapeva che io fossi un vetro rotto. In mille pezzi. Perché non mi accettavo, e nessuno mi accettava. Per non farmi vedere, mettevo di nascosto delle fascette di cotone che trovavo in cucina. Ricordo il giorno degli esami di terza media, che mi presentai con i pantaloncini e la canotta, ma sopra avevo la mia felpa fuxia preferita che copriva tutto. Tutti gli errori.
Io non volevo vivere. E continuavo a vivere, con la speranza di morire.
Una volta mamma mi scoprì con le fasce. E subito mi chiede di smettere. Io lo negavo, negavo di autolesionarmi. Ma lo ammetto, non avrei mai smesso nonostante le promesse, specialmente quella fatte a mia madre.
Piangevo ogni giorno, ma non lo davo mai a vedere.
E non lo nascondo, lo ammetto. Non me ne vergogno. Perché questa è la realtà dei fatti. La cruda realtà, che non ha il fine di far provare compassione o pietà per una persona. Ma far riflettere.
Quella sera di capodanno fu scottante. Perché mio padre si avvicinò a me, spaventandomi. Perché quando si avvicinava non era niente di buono. Perché ogni volta che si avvicinava significava che mi avrebbe alzato le mani. Avevo paura e non volevo guardarlo. Mi strinsi ancora più a me e indietreggia ancora di più contro la parete dell'armadio.
Mi chiese di venire in soggiorno, voleva tutti lì per festeggiare tutti insieme l'arrivo del nuovo anno, ma mi rifiutai, sotto i suoi occhi che si coloravano di rabbia. Io non volevo andare, perché non saremmo mai stati insieme veramente. Noi non eravamo più una famiglia. Perché una famiglia non si maltratta. Non si può volere morti i propri figli. Non si può violentare psicologicamente la propria famiglia. Questo non è volere bene. Non è tenerci. Non è proteggere.
Lui mi pregò. Mi pregò di venire, perché questo, secondo le sue parole, sicuramente, sarebbe stato l'ultimo capodanno con lui. L'ultimo capodanno insieme. E queste parole non nascondo che mi colpirono. Però io volevo davvero l'allontanamento. Volevo davvero che tutto finisse, che sarebbe sparito dalla mia vita. Volevo che tutto finisse. Perché non ce la facevo più. Non ce la facevo più a versare lacrime, a stare sola, a vedere i miei fratelli che rischiavano la vita per proteggere mia madre da lui. Perché doveva sempre farla piangere, perché doveva alzarle le mani. E doveva calpestarla, come una scarpa calpesta un fiore. Perché mia madre era un fiore. Un fiore che si stava appassendo per colpa sua. E io non ce la facevo. Non ce la facevo a vederla in quel modo, volevo liberarla. Io e i miei fratelli volevamo liberarla. Volevamo ridarle quell'acqua che sarebbe bastata per riprendersi e rifiorire per non appassire più.
Questa non è cattiveria. Ma lui era davvero una bestia. Non era una persona. Noi non potevamo andare avanti così.
Alla fine dissi no. Ma andai in soggiorno solo quando Marta, la mia sorellina, venne a chiamarmi. Aveva solo due anni. E io l'amavo quella bambina. Era la mia unica felicità.
Quel capodanno non fu spumante. Perché non serviva, dopo tutto l'alcool assunto da parte di mio padre per tutta quell'estate.
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SCREAM. (IN REVISIONE)
Non-FictionCosa vuol dire rimanere in silenzio ed essere spettatori della propria vita? E mantenere gli urli disperati nella propria gola, senza mai reagire? Tratta da una storia VERA. Questa è la mia storia. Tutto ciò che è scritto è accaduto realmente. Ed...