...
comunque sia, abbiamo pensato anche a nostra sorella, e abbiamo preso un pupazzo di Winnie the Pooh. Alla fine tutti eravamo pronti per andare. Fermi. Davanti alla porta. Per l'ultima volta... Decisi di ritornare indietro e riguardarmi intorno... Mi soffermai un attimo nella stanzetta, presso ancora qualcosa dal cassetto per infilarla nella mia cartella, e in fretta e furia tornai davanti alla porta e dissi ai miei fratelli: "andiamo!" E fu così che uscimmo, chiudemmo la porta, scendemmo in ascensore e rimanemmo per circa cinque minuti giù siti casa in giardino ad portare mamma che arrivasse a prenderci per andarcene. La noia assaliva i miei fratelli. Io guardavo il balcone della mia migliore amica, loro fecero un giro intorno al palazzo avrei voluto tornare indietro, per prendere più cose, na ormai era troppo tardi. Troppo tardi per riavvolgere il nastro. L'ultima persona che vedemmo fu il padre di Andrea e Matilde, vicini di casa. L'ansia saliva, volevamo subito andarcene. La prima persona che seppe di ciò, fu il mio amico Giovanni, gli dissi subito:
"Ehi, stiamo scappando via di casa!"
"Ce ne stiamo andando."
...E dopo un po' arrivò il messaggio fu mamma...
"State giù?"
"Stiamo arrivando."
E fu così che il momento tanto atteso arrivò... Finalmente andavamo lontani da lui... Da mio padre, da quell'incubo...
Quando arrivarono, ci facemmo una corsa per arrivare fino alla macchina, a gara per chi doveva arrivare per primo... Il tragitto... Fu lungo... Arrivammo a ora di pranzo circa, tipo l'una e dieci. La prima persona che vidi, fu Michela. Lei ci aprì la casa. La casa era... Grande. Due piani tutto per noi. Ero inizialmente felice. Era grande e vuota. Era bella, d'appartenenza. Non sapevamo come la cosa sarebbe continuata ancora. Il villaggio era vuoto. Pian piano, durante la giornata, vennero a conoscerci a casa, tutto i collaboratori principali. Inizialmente ero felice... Ma poi... Mi negarono l'uso del telefono. Ciò significava che non potevo sentire nessuno, solo a causa sua che ci cercava: mio padre.
La mia educatrice, Anna, sarebbe tornata alle 6, dopo aver fatto la spesa e averci preso un po' di vestiario, perché non avevamo niente. Fino a quel limite, fino alla fine della serata, stretto a piangere. Il perché? Età la mia migliore amica, Mariangela. La distanza... La lontananza... Il nostro destino era come se si fosse rivoltato contro di noi... Ed è quello che ci distruggeva da quel giorno e ancora oggigiorno. Non ricordo come fissi arrivata in quell'angolo del divano... Ma so e ricordo che rimasi lì, rannicchiata a piangere, con la musica nelle orecchie, per molto tempo. Ora non è più, luogo delle mie disperazioni, ma lo è alla luce della notte, il mio caro, amico, letto, che ancora oggi, fin fai primo giorno, mi ha accudita nel cuore della notte.
E ancora oggi, io e Mariangela, aspettiamo con disperazione che la distanza muoia lei, e non noi.
E con la disperazione, aspetto, che i miei flashback ritornino al loro posto; il passato, perché sono stanca alla mancanza di tutto e tutti, come per esempio la vecchia scuola, e i propri amici.
Potrà anche essere il mio giusto peso da sopportare, ma non riuscirò mai a sopportarlo."Tratto da un tema scolastico.
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SCREAM. (IN REVISIONE)
Non-FictionCosa vuol dire rimanere in silenzio ed essere spettatori della propria vita? E mantenere gli urli disperati nella propria gola, senza mai reagire? Tratta da una storia VERA. Questa è la mia storia. Tutto ciò che è scritto è accaduto realmente. Ed...