I primi giorni in comunità sono stati di assestamento. I miei incubi erano costellati dai ricordi di mio padre che riaffioravano e annegavo in essi con la paura che lui potesse trovarci e ucciderci tutti. Avevo tantissima paura, uscivo di rado di casa e mi guardavo sempre intorno. Nonostante ciò, anche se non vedevo altro che l'oblio, un buco nero senza ritorno, trovavo il villaggio un luogo cupo, desolato e malinconico, dentro di me sapevo che almeno mio padre non ci avrebbe mai più visti. Una piccola parte di me era speranzosa che le cose andassero meglio in quella struttura protetta. Speravo solo di adattarmi al meglio e trovarmi al miglior modo possibile perchè non volevo rivivere ancora quei brutti densi ricordi di me. Quindi il villaggio era una piccola speranza in sé. Abbiamo affrontato diversi colloqui con psicologi, che ci facevano sempre le stesse domande, tra cui Saverio, lo psicologo ufficiale del villagio. Anna invece, è una pedagogista.
Mia madre ed io cambiammo numero di telefono come indicato dai responsabili della struttura, difatti già dal primo giorno consegnai ad Anna la mia scheda sim, prima che se ne andasse. Lo stesso giorno che le cambiammo sono entrata per la prima volta nella biblioteca di Ostuni. Dopodiché, mamma e Anna decisero di scrivere le regole della casa come in ogni villetta del Villaggio, e quindi i turni per le docce, fare il bagno, la spazzatura, per i piatti, ecc... insomma per le faccende domestiche. E oltre i turni per quest'ultime c'erano anche gli orari da rispettare che aveva fissato la nostra educatrice secondo il regolamento del Villaggio. La spazzatura, si scendeva ogni giorno alle 15 in punto giù in garage, per questo c'erano i turni. Inoltre si seguiva la raccolta differenziata.
Durante questi giorni, le rare volte in cui sono uscita di casa, ho cominciato a conoscere i componenti del villaggio, bambini, ragazzi, ed educatori. Il secondo giorno, infatti, io e i miei fratelli siamo andati a farci conoscere nella casa vicino alla nostra, la sesta casa. Così abbiamo conosciuto Olga, Vittoria, Giovanna, e Rita, che assieme alle loro educatrici zia Marisa e Claudia affermavano che io somigliassi molto a Jasmine, una ragazza che era stata in quella casa, e che era passata alla casa delle ragazze. Insomma, pian piano, giorno per giorno, i pezzi del puzzle del Villaggio si univano tra loro facendomi capire come fosse composto e organizzato.
Questa comunità non è altro che un villaggio in tutti i sensi: è composto da dieci case, compresa la casa dei giovani in paese, che ospitano i ragazzi accolti in questa casa famiglia. Nove sono in tutto quelle presenti in via dei colli, ma quelle effettive e quindi aperte sono solo otto, perché la terza è sempre stata vuota, sin da quando siamo arrivati al villaggio. Ogni casa ha due zie che sarebbero le educatrici, che si dividono i turni tra il giorno e la notte. Oltre le nove case, in via dei colli la struttura presenta l'ufficio in cui lavora il direttore, e un atrio grande che porta a diversi spazi: lo spazio LUNA, inaugurato nel 2015 e adibito per eventuali colloqui con gli assistenti sociali o psicologi, la casa del direttore, la palestra e uno spazio con delle stanze dedicato al doposcuola, attuato dal vicedirettore Nicola. Salendo poi una rampa di scale che separa la palestra dallo spazio studio, vi è la casa delle zie, adibita a zia Grazia, la zia che fa il "jolly" e fa un turno in cui una zia prende il giorno libero, oppure adibita a tutte le zie o agli ospiti, a disposizone per loro. La casa delle zie è divisa tra la cucina da una parte e la zona notte, con le camere, il bagno, e un saloncino, nell'altra parte. La particolarità delle case del villaggio è che ognuna di esse ha il nome del primissimo ospite di quella casa. La nostra, si chiamava "L'abbraccio" e si distingueva tra tutte perché era quella appositamente dedicata ad una o più mamme con bambini, era la casa "mamma-bambino".
Ben presto venni a conoscenza della presenza di una mia vecchia compaesana e compagna di scuola, Gabriella, la migliore amica di Marialucia, e i suoi fratelli e sorelle che conobbi. Inoltre, suo fratello minore Cesare era coetaneo di mio fratello Giuseppe.
Giunto il momento di pensare alla scuola e di iscriversi nuovamente ad Ostuni, venendo a conoscenza che ci fosse un istituta agrario decisi di frequentarlo, abbandonando gli studi del mio indirizzo precedente. Fui felice della mia scelta e a dire il vero non vedevo l'ora di frequentare la scuola ed ero curiosa di conoscere i miei nuovi compagni e i nuovi ambienti scolastici. Ho cominciato la scuola quindi qualche giorno dopo, il 22 gennaio 2014. Pronta per una nuova avventura, fui accompagnata con la captiva, una Chevrolet enorme, macchina del villaggio, a scuola. Angelo Mola, in veste di direttore mi ci accompagnò, fino all'ufficio del vicepreside Petraroli, che fece scendere Nino, un altro ragazzo della settima casa del villaggio, frequentante l mia stessa scuola ma un anno più avanti, che venne incaricato di guidarmi i primi giorni, tempo che mi ambientassi a scuola. Angelo mi presentò ad entrambi, e quando parlò con il vicepreside, gli disse il motivo per cui avevo scellto quella scuola; il primo motivo che mi era venuto in mente:" voglio imparare a fare le mozzarelle, e lavorare in un caseificio." e dopo che mi fu indicata l'aula non restò altro che entrare nella mia nuova classe.
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SCREAM. (IN REVISIONE)
Non-FictionCosa vuol dire rimanere in silenzio ed essere spettatori della propria vita? E mantenere gli urli disperati nella propria gola, senza mai reagire? Tratta da una storia VERA. Questa è la mia storia. Tutto ciò che è scritto è accaduto realmente. Ed...