Durante l'anno ho continuato a tagliarmi senza fermarmi, nonostante fossi ormai fuori di casa e con mio padre fuori gioco. Infondo avevo portato con me da casa i vetri rotti dello specchietto. Non provavo nient'altro che tristezza, malinconia, solitudine e rabbia. A scuola era facile da nascondere, bastavano semplicemente strati di vestiti e maniche lunghe, tanto il clima a Ostuni non era mite come a Modugno, ma il freddo persisteva fino a Maggio ed io essendo freddolosa, avrei portato le maniche lunghe fino a quel periodo come se fosse servito, tanto avevo resistito a ben oltre il caldo. Mi tagliavo ogni sera, sempre più in profondità, e spesso mi spingevo oltre fino a quando il sangue non gocciolava nel lavandino. Volevo continuare a farlo e a spingermi oltre, mentre indossavo una maschera di falsa felicità che bastava ad ingannare chiunque, mentre continuavo a stare male ogni giorno sempre di più, sentivo un peso enorme su me stessa, morivo lentamente dentro di me in una dura agonia, mi sentivo al limite di sopportazione ogni giorno, e ogni sera pensavo a qualcosa di bello, di felice, ma desideravo addormentarmi e non svegliarmi più il mattino seguente. Non avevo idea di cosa mi facesse alzare la mattina dal letto, quale forza mi spingesse ad andare a scuola e sorridere, fingere di essere in serenità. Intanto, dovevo studiare con tutte le possibilità e opportunità che avevo per mettermi alla pari con i miei compagni di classe, seguire il programma di tutte le materie, prendere almeno la sufficienza in ognuna di esse, e dare il meglio di me. Non riuscivo a guardarmi allo specchio, e quando mi pesavo il numero sulla bilancia mi spiazzava sempre e non potevo smettere di mangiare per non destare sospetto, pur non accettando il mio corpo, i miei capelli, il mio aspetto. Nonostante mi ripetessero quanto fossi magra e quanto sembrassi deperita, per me non era così. Non cambiava perché non era quello che io vedevo allo specchio, con i miei occhi. Dovevo fare comunque finta di niente, sorridere e mangiare. Di tanto in tanto soffrivo di dolori, crampi e mal di pancia con cui mi liberavo di tutto ciò che mangiavo. Alcune mattine mi svegliavo con la nausea e i crampi allo stomaco e spesso per questo motivo mi assentavo da scuola. A casa mi chiudevo spesso in bagno per ferirmi, per sfogarmi attraverso l'autolesionismo, andavo a quello del piano superiore quando tutti erano impegnati a quello inferiore ed avevo tempo a disposizione. Una volta, mi sono incisa sulla pelle non solo delle braccia, o la pancia, o le gambe, ma anche "SAD" sul braccio sinistro. Tanto, nessuno poteva vedermi. Non provavo dolore. Non provavo nulla, il dolore era interiore, nascosto dentro di me. Credevo di non poterne parlare con nessuno perché dopo tutte le mie esperienze negative avevo paura che mi avessero giudicata, estraniata di nuovo, e pensavo che non potevano capirmi perché mi sentivo diversa da tutte le persone attorno a me, tutte sorridenti e in armonia tra di loro, per questo non mi lasciavo mai andare, sono sempre stata diffidente.
Quando poi ho fatto un passo falso, sono stata smascherata da mia madre ed Anna, che ovviamente mi chiese il motivo per cui facessi una cosa simile a me stessa e mi fece la paternale, dopodiché hanno deciso con il mio consenso di portarmi al NIAT di Carovigno, dove i miei fratelli avevano già avuto un colloquio con gli psicologi, e così sarebbe toccato farlo anche a me.
Ero davanti a quella porta, curiosa di sapere come sarebbe andata. Arrivato il mio turno, sono entrata con Anna e mia madre che mi avevano accompagnata. Il signore, un giovanissimo dottore dai capelli corvini mi ha visitata dopo aver chiesto i miei dati personali, misurando la mia altezza e il mio peso. Dopodiché mia madre è uscita e sono rimasta in quella camera con Anna e lo psichiatra. Ho mostrato tranquilla e pacata con il sorriso sulle labbra quello che mi ero combinata sulle mie braccia e ho risposto a tutte le domande che mi ha posto, cosa ascoltassi, che cosa facessi nel mio tempo libero, cosa mi sarebbe piaciuto fare, la scuola che frequentassi, il perché di quello che mi facessi e la mia storia, cosa mi fosse accaduto, se avessi amici e come mi trovassi a scuola. E ho mentito come mentivo ogni giorno alle domande della gente. Ho mentito sul fatto che mi sentissi bene. Ma a quanto pare lo psichiatra impassibile alle mie risposte, come la mia educatrice che rimaneva in silenzio ad ascoltare, mentre io con tutta calma gli parlavo, aveva capito tutto. Mentre mi chiedeva che musica ascoltassi, dentro di me mi chiedevo "Non è che pensa che io sia un'emo estrema?". Lui annotava qualsiasi cosa gli dicessi. Dopo un po' scrisse su un fogliettino a parte mentre Anna mi ha fatta uscire dalla stanza. Così, dopo aver salutato anche Anna lo psichiatra, uscimmo tutti dalla stanza e ce ne andammo via. Mi disse che dovevo fare un elettrocardiogramma che mi prescrisse, e degli psicofarmaci, cosa che lessi dopo aver preso il foglietto. Di entrambi, feci solo il primo.
I giorni seguenti dopo quell'incontro, Anna, mi consigliò di scrivere tutto ciò che mi passasse per la testa su un quaderno di colore azzurro per sfogarmi, e la scelta di quel colore si basava esclusivamente sulla sua simbologia, proprio come mi disse lei: "perché l'azzurro è il colore della libertà", ma anche un colore neutro che dona serenità, come lo scopo che ti dovrebbe dare lo scrivere i tuoi pensieri su di esso. Ma io stessa, ho chiesto comunque di cominciare una terapia e di andare dallo psicologo. Così sono tornata al NIAT di mia spontanea volontà per avere un colloquio con Angela, la mia futura psicoterapeuta.
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SCREAM. (IN REVISIONE)
NonfiksiCosa vuol dire rimanere in silenzio ed essere spettatori della propria vita? E mantenere gli urli disperati nella propria gola, senza mai reagire? Tratta da una storia VERA. Questa è la mia storia. Tutto ciò che è scritto è accaduto realmente. Ed...