3. Andiamo in città

377 43 9
                                    


Il paese non era molto grande, somigliava più che altro ad una disordinata accozzaglia di case di generi diversi dominata dalla mole di un immenso castello scuro, quello dei McIntyre, signori di quelle terre

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Il paese non era molto grande, somigliava più che altro ad una disordinata accozzaglia di case di generi diversi dominata dalla mole di un immenso castello scuro, quello dei McIntyre, signori di quelle terre. Le strade erano sterrati disseminati di piccoli ciuffi d'erba e di macchie di ogni sorta, viottoli popolati da capre, galline, cani e bambini. L'aria era satura dell'odore del cibo: pane, il malto della birra, aceto e note più lievi di frutta. In fondo al paese c'era un edificio ampio, di malta e pietre, accanto alla quale era stata costruita una stalla nella quale si muovevano lentamente, dimenando la pesante coda, due corpulenti cavalli neri. Dietro quell'edificio si estendeva il piccolo cimitero, una distesa di lapidi di marmo, croci in ferro battuto o in legno levigato sopra un prato verde acceso, ben tagliato e palesemente curato da qualcuno che se ne intendeva.

Di fronte all'edificio di malta e pietre era seduto un ometto tondo e pallidissimo, tutto vestito di nero, con una mantellina di velluto morbido e un libro dalla copertina rossa, anch'essa di velluto, fra le mani. Aveva lo sguardo assorto, le sopracciglia un po' aggrottate e la fronte corrugata che risaltava curiosamente sul resto del volto completamente liscio e paffuto. Sembrava un pupazzo di cera modellato per sembrare la figurina di un buffo saggio senza barba che leggeva. Rory lo trovava strano e simpatico e gli si avvicinò per chiedere informazioni.

Paul alzò lo sguardo, mutando l'espressione assorta in un sorriso aperto

«Ciao, piccolo»

«Salve» il bambino chinò la testa «Sto cercando Paul e Sheridan, mi può aiutare?»

«Certamente. Siediti qui accanto a me».

Rory obbedì. L'uomo tondo e bianco accanto a lui odorava di candele e di biscotti, gli ispirava fiducia.

«Sono io Paul» Disse, a bassa voce «E Sheridan è sul retro, sta inchiodando delle assi. Finalmente sei venuto...»

«Papà dice che dovevo»

«Oh... stai tranquillo, non è un obbligo. Se stare con me non ti piace, puoi tranquillamente andartene a casa» gli sorrise in un modo strano e buffo, che fece ridere Rory «Ma penso che ti divertirai con noi, piccolo»

«Siete simpatico, signore» osservò Rory, sorridendogli

«Grazie» l'ometto sorrise con dolcezza «Grazie, Mark»

Il bambino lo guardò stranito «Mi chiamo Rory, signore»

«Oh, beh, Mark, Rory, fa lo stesso... Ti dispiace se ti chiamo Mark?»

«No, signore. Ma sono Rory»

«E chiamami pure zio Paul, non sono un signore qualunque, sai piccolino?» l'uomo grassoccio, lo "zio Paul", parlava con una dolcezza strana nella voce. Rory pensò che era come quella della sua mamma, ma in modo diverso.

«Ma che scortesia da parte mia!» Disse il becchino all'improvviso, alzandosi e sospingendo con delicatezza il bambino verso l'entrata dell'edificio, entrando a sua volta e chiudendosi la porta alle spalle «Lasciarti qui fuori... entra, entra pure, piccolo Mark, ci divertiremo da morire!».

Rory entrò, piano, con la cautela che si era riservato quando inseguiva il leprecauno. Era un mondo nuovo, un mondo da sommare ai tanti piccoli mondi del suo universo. Doveva guardarlo bene, capirlo, come aveva capito l'orto e il grano, il suo amato boschetto.

Si guardò intorno, con gli occhi spalancati.

L'interno dell'edificio di malta e pietre era ricoperto interamente di legno, asse su asse, legno scuro che Rory non riuscì ad identificare. La stanza era grande, molto più grande della cameretta in cui lui dormiva, e alle pareti erano appoggiate strane cose oblunghe e lisce di legno come tutto il resto, ma apparentemente inutili. Il bambino ci si avvicinò, curioso, osservando con le sopracciglia aggrottate il simbolo sopra inciso. Una croce.

«Cos'è?» chiese, passandoci sopra un dito «Cosa significa?».

L'ometto grasso si avvicinò a Rory e si abbassò fino a lui «Quella lì è una croce. Quando sta sulle bare ecco, Mark... nelle bare dormono per sempre i morti. La croce è il simbolo di Gesù che li accompagna nel Regno dei Cieli. Mark, sai che cos'è la morte?».

Il bambino annuì, gravemente, artigliandosi quasi senza accorgersene il petto con una mano «La morte è freddo dentro il petto. Quando si muore non ci si... muove più. Come il grano. La morte è triste».

Paul sembrò profondamente turbato da quelle parole, guardando il bambino con rammarico. Si morse il labbro inferiore, poi allontanò lentamente e senza dir nulla Rory dalla bara.

Lo guardò per qualche secondo, mentre la manina del bambino si disserrava dall'abito e ricadeva mollemente al fianco del piccolo.

Il becchino, per evitare che Rory pensasse ancora al grano, si raddrizzò e urlò «Sheridan! Vieni, Sheridan, vieni! Guarda chi è venuto a trovarci!».

Rory osservò la scena, curioso. Al richiamo del becchino, Sheridan venne. Emerse dalla porta, con un martello di legno chiaro stretto ancora in pugno, e si avvicinò al duo con lentezza, come se il tempo non le importasse.

Era enorme, a dir poco. Rory si sentiva una pulce al cospetto di quella donna gigantesca che avvicinava a lui. Il viso era ancora in ombra, a causa del cappuccio nero che le copriva tutt'ora il capo, e non si era tolta la lunga veste.

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.


L'Uomo dei cimiteri - Parte 1: il bambinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora